Il fischio d’inizio della partita, tutta interna al Partito democratico, è arrivato con l’accordo in extremis sull’elezione dei due capigruppo dem, Andrea Marcucci al Senato e Graziano Delrio alla Camera. “Un punto di equilibrio”, come lo ha definito il reggente Maurizio Martina, faticosamente raggiunto per evitare una conta che avrebbe portato il Pd ad un passo dalla spaccatura. Una partita che si concluderà con la corsa alla segreteria che si concluderà il Congresso del partito. Mentre iniziano a delinearsi gli schieramenti.
Di certo, per ora, i nodi restano irrisolti. Come certifica, d’altra parte, l’uscita allo scoperto di Dario Franceschini dell’altro ieri: “Sarebbe bene fare una discussione nei gruppi più aggiornata rispetto alla Direzione, prima delle consultazioni al Colle per definire meglio la linea”. E la linea da “definire meglio”, per dirla con le parole del ministro uscente della Cultura, è quella dell’opposizione senza se e senza che finora Matteo Renzi, giocando sui numeri decisamente a lui favorevoli nei gruppi parlamentari, è riuscito ad imporre al Pd. Ma quella di Franceschini è una posizione sulla quale, sebbene con dei distinguo, sta di fatto convergendo l’intera minoranza dem. “Non si può andare al Colle dicendo che non siamo disponibili a niente, punto”, si è unito al coro pure Andrea Orlando. Tradotto: dialogare con i 5 Stelle è inevitabile. Insomma, una partita tra chi sostiene, come i renziani, da una parte che occorra restare fermi, all’opposizione, anche per evitare il rischio che il Partito democratico diventi utile strumento nelle mani di Luigi Di Maio nel tentativo di tenere aperti i due forni del Movimento 5 Stelle: quello del Centrodestra e quello del Centrosinistra. E chi, dall’altra, la minoranza dem, sia ormai convinto che un partito che conta il 19 per cento dei voti non possa ostinarsi a restare in panchina per non giocare la partita.
“Non vorremmo che i renziani stessero aspettando che passi il ‘cadavere’ di Di Maio per dare vita ad una Grosse Koalition alla tedesca nella quale però, a differenza della Germania, ci ritroviamo Salvini e Berlusconi”, ragiona un autorevole esponente della minoranza dem. La partita parallela, che si giocherà in contemporanea con quella del Governo e che si sovrapporrà di fatto alle consultazioni, inizierà il 15 aprile, quando l’Assemblea nazionale fisserà le tappe verso il Congresso. Probabilmente per aggiornarsi a dopo le amministrative di giugno. Sarà quella la sede per regolare definitivamente i conti nel Pd con i renziani. Certo, c’è ancora tempo, ma gli schieramenti, sebbene alla fase embrionale, si vanno definendo.
C’è innanzitutto l’attuale reggente Martina, sostenuto dal grosso degli ex Ds dai quali anche l’ex ministro dell’Agricoltura proviene. E un altro quarantenne, Matteo Richetti, di estrazione moderata, amico-nemico dell’altro Matteo (Renzi) al quale, d’altra parte, la sua annunciata candidatura alle primarie, in chiave anti-Martina non dispiace più di tanto. Richetti ha persino dato vita ad un suo think thank di riferimento, Harambee (Insieme), che si riunirà il 7 aprile all’Acquario Romano. Mentre resta defilato il neocapogruppo alla Camera Delrio, sul quale continua il pressing, come uomo di mediazione, per spingerlo a correre per il vertice del Nazareno, L’alternativa su cui puntano Orlando e Franceschini è Paolo Gentiloni. Che per ora si è chiamato fuori. Si vedrà.