Ci vuole una gran faccia tosta per scandalizzarsi soltanto ora per quanto sta accadendo in Ungheria dove, con il caso di Ilaria Salis, è balzata agli oneri della cronaca l’ultima di una lunga serie di palesi violazioni dello Stato di diritto. Eppure c’è chi nella maggioranza italiana sembra cadere dal pero, come se tutto ciò sia un inedito e non, invece, un modus operandi già collaudato da tempo e finito al centro del dibattito politico internazionale. Del resto che a Budapest le violazioni siano all’ordine del giorno è noto almeno dal settembre 2018 quando l’Europarlamento ha votato una risoluzione, malgrado la contrarietà della Lega di Matteo Salvini e di Forza Italia, per imporre sanzioni al Paese guidato dal sovranista Viktor Orbán reo di aver compiuto “gravi violazioni dello Stato di diritto”.
Nel 2018 l’Europarlamento ha votato una risoluzione per imporre sanzioni al Paese guidato Orbán reo di aver compiuto “gravi violazioni dello Stato di diritto”
Qualcuno potrebbe pensare che la cosa sia sfuggita ma appare difficile crederci perché si è trattato di un vero e proprio inedito perché, fino a quel momento, non era mai stato adottato un simile provvedimento dal Parlamento Europeo che, proprio per la sua rarità e gravità, viene ribattezzato come “opzione nucleare”. Tra l’altro non si può nemmeno sostenere che la vicenda passò in cavalleria perché diede il via a uno scontro mai visto tra Unione europea e Parlamento ungherese che su iniziativa del gruppo Fidesz, ossia il partito di Orbàn, sei giorni dopo la risoluzione aveva votato a sua volta una risoluzione che rifiutava il rapporto e il voto dell’Eurocamera.
Ungheria che era tornata all’attenzione dell’opinione pubblica – e della politica – a ottobre dello stesso anno quando il Parlamento europeo, al culmine del braccio di ferro con Orbán, approvava la relazione della parlamentare Judith Sargentini che chiedeva l’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati sullo stato di diritto in Ungheria, sulla base di preoccupazioni relative al “funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale” ungherese, “l’indipendenza della giustizia”, “la corruzione e i conflitti di interesse” o varie libertà individuali come il diritto dei richiedenti asilo. Nel novembre del 2021 a occuparsi del governo di Budapest è, invece, la Corte di Giustizia dell’Ue che ha disposto l’illegittimità, secondo il diritto comunitario, della legge “anti-Soros” voluta dal premier Orbán per impedire a qualsiasi tipo di organizzazione o entità, inclusa la Open Society del magnate dell’editoria, di fornire supporto ai migranti che varcavano il confine serbo-ungherese. Corte che a febbraio 2022 è tornata ad occuparsi dell’Ungheria e anche della Polonia.
In quell’occasione, in seduta plenaria, i giudici respingevano il ricorso promosso dai due Stati contro il meccanismo di condizionalità, che regola l’uso delle risorse del Next Generation Ue. Si tratta, tanto per capirci, del principio contenuto nel regolamento del Next Generation Eu che subordina l’erogazione dei fondi europei al rispetto dei principi dello Stato di diritto. A settembre 2022 la palla passa ancora all’Europarlamento che approvava, malgrado l’opposizione del gruppo Conservatori e riformisti europei di cui fa parte Fratelli d’Italia e di Identità e democrazia a cui appartiene la Lega, una risoluzione non legislativa in cui l’Ungheria viene definita una “minaccia sistemica” ai valori fondanti dell’Unione europea e soprattutto definita una “autocrazia elettorale”.
Sentenze e risoluzioni per le quali Bruxelles, nello stesso anno, decideva di bloccare l’erogazione dei fondi del Pnrr all’Ungheria e anche alla Polonia. Procedura andata fin troppo a rilento per via dei tentennamenti di Ursula von der Leyen che poi, con lo scoppio della guerra in Ucraina, pur di supportare Volodymyr Zelensky ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, sbloccando 10,2 miliardi di euro dei fondi strutturali per l’Ungheria bloccati a causa del mancato rispetto delle norme sullo Stato di diritto.