È una storia piccola che dice molto e per questo merita di essere raccontata. Accade a Valvasone Arzene, in provincia di Pordenone, dove sulla vetrina del negozio della Cospalat è apparso un cartello che ripete un mantra che da mesi si ritrova nelle dichiarazioni di certi politici e nelle righe di certi editoriali: “Con grande rammarico ci troviamo obbligati a comunicare che sospendiamo l’attività nello spaccio di Valvasone per mancanza di personale che abbia un minimo di voglia di lavorare”, si legge, affisso all’ingresso.
A Pordenone, sulla vetrina del negozio della Cospalat, un cartello che ripete un mantra che da mesi si ritrova nelle dichiarazioni di certi politici e nelle righe di certi editoriali
Le motivazioni di quel cartello (fin troppo facile da prevedere) le spiega a Il Gazzettino il consigliere di Cospalat Friuli Venezia Giulia Renato Zampa: “le candidature sono rappresentate quasi solo da over 50. Poi iniziano i problemi – ha detto Zampa – lavorare il sabato non va bene, iniziare il turno alle otto è troppo presto, gli spostamenti sono troppo lunghi. Ecco perché con quel cartello abbiamo voluto provocare. Sarà un caso, ma da quando è comparso il messaggio ho ricevuto tre telefonate”.
Fin qui è la favola nera perfetta per buttare fango sui lavoratori che non vogliono lavorare, sui giovani indolenti e perfino sull’odiosissimo Reddito di cittadinanza. Solo che all’improvviso il giochino si rompe e interviene il sindaco di Valvasone Arzene, Markus Maurmair che chiede al negozio di raccontare ai giornali anche quanto sarebbe lo stipendio e aggiunge: “da anni l’attività funziona soprattutto grazie alla buona volontà delle persone che vi lavorano. Non vorrei fosse una sorta di giustificazione per una chiusura preventiva collegata al fatto che nelle vicinanze aprirà a breve un’altra attività similare”.
Non ci vuole molto per capire che il sindaco sa particolari che preferisce non proferire ma che si possono facilmente immaginare, ovvero che anche alla Cospalat il lavoro è un privilegio che si deve scontare cedendo dignità e diritti.
Senza bisogno di essere giornalisti d’inchiesta del resto basta scorrere la pagina Facebook dell’attività per trovare commenti di cittadini evidentemente ben informati che raccontano di lavoratori “che fanno 12 ore al giorno ma in busta paga il minimo” e si augurano che “la gente possa sapere come stanno le cose”.
Su Indeed, uno dei siti più conosciuti per leggere le opinioni sulle aziende di dipendenti e di ex dipendenti un lavoratore in prova a novembre del 2020 racconta di “pessima amministrazione dei punti vendita mancanza di rispetto verso il personale” mentre un altro ex dipendente è ancora più preciso: “Non lo consiglio a nessuno, – si legge – la paga é sempre in ritardo e vengono ingiustamente sottratte giornate e ore di lavoro anche se svolte regolarmente, vengono sottratte anche permessi e ferie inoltre non viene nemmeno stipendiata la 13esima e 14esima anche se prevista dal contratto, impossibile avere delle risposte dal datore di lavoro in merito a tutto questo”.
Ci deve anche essere qualche problema di correttezza degli orari se è vero che tra le risposte a chi domanda come sia organizzata la flessibilità qualcuno risponde: “40 ore settimanali ma non rispettate dall’azienda. Ne fanno fare meno a loro piacimento senza nemmeno una comunicazione”.
Di Cospalat si ritrova, tra le altre cose, un vecchio articolo del Messaggero Veneto che racconta di 16 patteggiamenti per il reato di associazione per delinquere, finalizzata alla frode in commercio e commercio di sostanze alimentari nocive nel 2014. C’è anche “il provocatore” autore del cartello Renato Zampa che al tempo patteggiò una pena di 1 anno, 5 mesi e 10 giorni di reclusione (sospesa con la condizionale).
Ed è proprio Zampa che, mentre si sollevava il polverone, ha deciso di rispondere al sindaco scrivendo: “questo Paese sta regredendo e bisogna fare qualcosa per cambiare la mentalità delle persone. Basta assistenzialismo. È tempo di tornare alla cultura del dovere, del sacrificio e della responsabilità”. Iniziare l’anno sfidando il senso del ridicolo, schiacciando sempre le solite corde.