Se non è un avvertimento poco ci manca. Proprio mentre il premier Matteo Renzi è in missione in Iran a caccia di affari per le imprese italiane, c’è una lobby americana di non poco conto che recapita al presidente del consiglio un messaggio che più chiaro non si può: fare affari con Teheran, seppure nel periodo post sanzioni, è pericoloso per almeno 10 motivi. E quindi, volendo andare al sodo, sarebbe sbagliato. Chi è che lancia questo “caveat”? Si tratta di un organismo americano, sulla carta non profit, che si chiama Uani, United against nuclear Iran. In un avviso a pagamento pubblicato su alcuni organi di stampa italiani, Uani si chiede senza troppi giri di parole: “E’ accettabile il rischio Iran?”. Subito dopo chiarisce che l’annuncio contiene “alcune cose sulle quali il primo ministro Matteo Renzi dovrebbe riflettere durante il suo viaggio nella Repubblica islamica”. Ne segue un elenco di 10 tipologie di rischio che le aziende italiane correrebbero facendo affari in Iran, tra cui “rapimento e arresto”, “terrorismo”, “sanzioni e riciclaggio”, “sicurezza informatica”, “reputazione”, “corruzione” e via dicendo.
LA SINTESI – La conclusione, sempre leggendo l’avviso, è che “le vite dei lavoratori italiani e la reputazione delle aziende italiane non valgono il rischio che comporta fare affari con gli Ayatollah”. Firmato Uani. Ma chi regge i fili dell’organizzazione? Il suo amministratore, tanto per fornire una prima idea, è Mark Wallace, che durante l’amministrazione Bush è stato ambasciatore Usa all’Onu. Il presidente è Joe Lieberman, ex senatore democratico, poi arrivato a sposare quasi integralmente le tesi neocon. Ma è scrutando tra i componenti dell’advisory board e tra i finanziatori che si coglie un collegamento con Israele. Nel primo, per dire, siede Meir Dagan, ex capo del Mossad. Tra i principali finanziatori di Uani, invece, secondo alcune ricostruzioni di stampa Usa ci sarebbero trust e fondazioni vicine a due noti miliardari ebrei-americani.
I PROFILI – Uno è Thomas Kaplan, che opera nel settore degli investimenti in metalli preziosi, oro in primis. L’altro è Sheldon Adelson, il re dei casinò (nel 2008 censito come terzo uomo più ricco del mondo). Insomma, ambienti neocon americani legati a Israele hanno fatto arrivare a Renzi un “bel” messaggio. C’è chi dice che l’obiettivo di Uani sia quello di ostacolare il rilancio delle attività economiche in Iran, paese che potrebbe riprendere a produrre petrolio in grandi quantità favorendo la discesa dei prezzi. Scenario visto come fumo negli occhi dall’Arabia Saudita, alleato degli Usa. Di sicuro Uani in passato ha messo in soggezione anche l’amministrazione Obama. Nel luglio del 2014, infatti, il Dipartimento americano di giustizia ha blindato Uani per evitare che fosse costretta a rivelare in tribunale la lista dei suoi finanziatori. La causa era stata intentata dall’armatore greco Victor Restis, accusato da Uani di fare affari con l’Iran in violazione delle sanzioni. Un pregresso come minimo curioso, per un’organizzazione Usa che ora va in pressing sul premier italiano utilizzando pagine di giornale.
Twitter: @SSansonetti