Due giorni fa, su X, il presidente della fondazione Adapt Francesco Seghezzi si è domandato quale lavoro stiamo creando in Italia. Un quesito giusto, nato dalla lettura degli ultimi dati Istat secondo cui, nel 2023, l’Italia ha registrato un calo di tutti gli indicatori di produttività, in particolare quella del lavoro: -2,5%. Un decremento significativo diffuso in tutti i settori, industria compresa. Fra il 2014 e il 2023, pur non brillando in confronto alla media europea (+1,1%), il nostro Paese ha comunque registrato un aumento della stessa produttività (+0,5%).
Non solo. Sempre nei giorni scorsi, l’Istituto di statistica ha diffuso i dati su occupati e disoccupati nel mese di novembre. Anche in questo caso, al – seppur minimo – calo degli impiegati (-13mila unità) si è accompagnato un nuovo aumento degli inattivi. Tradotto: coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano. Per dirla con una parola: scoraggiati. Ancora a novembre, il tasso di inattività ha toccato il 33,7%, il più alto in Europa. In un anno, gli inattivi sono aumentati di 323mila unità; in termini percentuali, sempre nell’arco degli ultimi 12 mesi la loro crescita è stata quasi doppia rispetto a quella dei nuovi occupati (+2,6% contro +1,4%). Non sorprende, dunque, se il tasso di disoccupazione sia ai minimi storici: difatti, all’aumento degli inattivi corrisponde – di solito – un calo dei senza lavoro.
I festeggiamenti di vari membri di maggioranza e governo, pertanto, sono fuori luogo e testimoniano una scarsa conoscenza del tema (se non addirittura della malafede). La cruda realtà del mercato del lavoro è ben più complessa di come viene propagandata dai suddetti esponenti. Ne ho recentemente parlato su questo giornale ma vale la pena sottolineare nuovamente alcuni aspetti. In primo luogo, il fatto che quasi quattro contratti su dieci attivati fra gennaio e settembre 2024 siano part-time significa che quello che si sta creando è lavoro povero.
Ancora: l’aumento esponenziale della cassa integrazione, che in alcuni settori sfiora il 140%, è un campanello d’allarme che – seppur ignorato – testimonia plasticamente che qualcosa non va, al pari di quello delle famiglie di operai in povertà assoluta (16,5% nel 2023, livello record). Last but not least: la situazione dei giovani. Secondo l’ultima rilevazione Istat, il loro tasso di disoccupazione è aumentato dell’1,4% e quello di inattività dello 0,2% (2,1% su base annua). Soluzioni non se ne vedono. Di chiacchiere, invece, se ne sentono tante. Troppe.