A pochi giorni dalle nomine dei vertici delle partecipate pubbliche, i partiti affilano le armi, e soprattutto nel Centrodestra si alza un muro per impedire che Giorgia Meloni faccia proprie tutte le poltrone. Questo, perlomeno, è quanto si annusa nell’aria, soprattutto dopo il licenziamento del direttore generale del Ministero dell’Economia, Alessandro Rivera, e l’accentramento dei dossier direttamente a Palazzo Chigi.
Chiesto il cambio dei vertici di Enel e Eni nonostante i risultati. Sulla partita delle nomine Forza Italia teme che FdI prenda tutto
Perciò qualche giorno fa era stato Silvio Berlusconi a far sapere di attendersi il diritto di nomina dell’Ad di una delle grandi aziende (si è ipotizzato l’Enel con un difficile ritorno di Paolo Scaroni, attualmente, tra le altre cose, presidente del Milan e alla guida di Eni ai tempi degli accordi energetici tra il governo del Cavaliere e Putin). Ancora più esplicitamente, ieri è uscita la Lega di Matteo Salvini, che nonostante i risultati industriali di Eni ed Enel ha fatto sapere che “l’Italia deve mostrarsi all’altezza delle sfide più delicate, a partire dalla politica energetica”.
Perciò, hanno continuato non meglio precisate fonti di alto rango del Carroccio, riprese però ampiamente dal circuito mediatico, “È bene che anche le grandi aziende di Stato come Eni ed Enel devono cambiare profondamente le loro politiche e il loro approccio alla modernità. Serve un cambio di passo”.
Ora non è chiaro cosa vogliano dire queste affermazioni di fronte all’Enel che ha dimostrato una fortissima resilienza e retto a una crisi drammatica nel settore energetico (basti fare il confronto con la perdita dell’anno scorso di Edf, per 17,9 miliardi) o ai contratti petroliferi e del gas chiusi da Descalzi in mezzo mondo. O forse è chiarissimo: la sete di poltrone supera tutto, pure la delicatezza di certe posizioni e i rischi di affidarle a persone fedeli ai partiti ma industrialmente inadeguate.