Il dossier, sul tavolo della commissione Industria del Senato guidata da Gianni Girotto (M5S), è di quelli delicati. Riguarda la gestione e la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari, prodotti dalle vecchie centrali italiane dismesse dopo il referendum del 1987. E ruota intorno al nodo irrisolto del futuro deposito nazionale che dovrà accogliere quasi 95mila metri cubi di scorie radioattive. Per contenerle tutte servirebbero quasi venti grattacieli grandi come il celebre Empire State Building che veglia su New York e che di metri cubi può contenerne cinquemila.
Tra qualche settimana, la Sogin, la società di Stato incaricata del decommissioning, ossia dello smantellamento degli impianti nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina, Garigliano (Caserta) e degli ex impianti di ricerca Enea Eurex di Saluggia (Vercelli), Opec e Ipu di Casaccia (Roma) e Itrec di Rotondella (Matera), oltre che della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, pubblicherà l’attesa (e temuta) Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale.
E non è difficile prevedere le proteste dei territori designati per ospitare la pattumiera radioattiva d’Italia. Insomma, un passaggio necessario, ma tutt’altro che indolore, con il quale il Governo dovrà, prima o poi, inevitabilmente fare i conti. Quel che è certo è che, ad oggi, il completamento del deposito nazionale di stoccaggio nel 2025 “è impossibile”. Mentre è possibile e “fattibile” entro la stessa scadenza “la realizzazione delle parti più urgenti”. Lo ha chiarito ieri, nel corso della sua audizione proprio dinanzia alla commissione Industria di Palazzo Madama, l’amministratore delegato della Sogin, Luca Desiata.
“Se si parte in tempi rapidi, almeno le strutture per ospitare i rifiuti dall’estero sono fattibili al 2025-2026, anche considerato che il rientro non è immediato ma avviene su più trasporti che vanno gestiti con le dovute cautele”, ha aggiunto l’Ad. Il riferimento è ai rifiuti radioattivi italiani stoccati all’estero, ovviamente a pagamento, per la precisione a Sellafield in Gran Bretagna e a La Hague in Francia.
De Siata ha escluso un Piano B. Che, tuttavia, esiste nei fatti. è stato infatti lo stesso amministratore delegato di Sogin a spiegare che i contratti stipulati dall’Italia con Francia e Regno Unito prevedono “clausole di estensione dello stoccaggio temporaneo”. Clausole “onerose”, ovviamente, “ma è quello che paghiamo pure oggi”. Con “un minimo di flessibilità, più da parte degli inglesi per necessità economica, meno da parte dei francesi” che considerano un problema politico i rifiuti nucleari italiani stoccati sul proprio territorio nazionale.
In realtà ci sarebbe persino un Piano C: la vendita all’estero delle scorie radioattive. Tra le possibili mete di destinazione finali e definitive ci sarebbe peraltro la Slovacchia. “La normativa Ue lo permette, ma le leggi nazionali di alcuni Paesi europei lo vietano”, ha chiarito De Siata. Aggiungendo che, profili giuridici a parte, da un punto di vista tecnico, l’operazione è, in ogni caso, “assolutamente fattibile” sebbene a “costi estremamente elevati”. Insomma, occorre “una decisione politica” per un impegno di spesa “di qualche miliardo”.
Ma non è tutto. C’è un’altra questione che pesa come un macigno sull’attività di decommissioning di Sogin. Nel prossimo quadriennio circa la metà degli interventi potrebbe restare bloccato nel “collo di bottiglia” delle autorizzazioni. Più nel dettaglio, per il 2019 sono ancora da autorizzare attività per 32 milioni su un totale di 115 programmati. Nel 2020 ballano 54 milioni su 140. Nel 2021 si sale a 94 milioni su 190 mentre per il 2022 le attività da autorizzare valgono 110 milioni su un totale di 180.
E “ogni anno di ritardo si aggiunge al ritardo sulla vita intera”, ha avvertito Desiata. Con l’aggravante che, in molti casi, i ritardi in questione riguardano i “cammini critici”. La soluzione, secondo l’amministratore delegato della Sogin, non può che essere una soltanto. “Un rafforzamento urgente di Isin”, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione. Senza il quale, ha ammesso Desiata, “è inutile produrre progetti che poi non sono autorizzati”.
Il Report di Sogin al Senato. Dal 2016 costi ridotti del 9%
In tutto sono 95mila 200 i metri cubi di rifiuti nucleari in carico alla Sogin. I depositi temporanei allestiti a Bosco Marengo, Casaccia, Saluggia, Trisaia, Trino, Latina, Caorso e Garigliano, coprono circa l’80% delle necessità di stoccaggio. Il resto è stato destribuito tra gli impianti britannici e francesi in base a contratti E vista l’impossibilità di completare entro il 2025 il Deposito nazionale (leggi pezzo a pagina 8), che ad oggi non si sa ancora dove sarà realizzato, gli attuali siti dovranno continuare a custodire le scorie radioattive prodotte dagli impianti italiani ancora per diversi anni.
Una mole di di rifiuti di cui, nelle 54 tabelle powerpoint depositate dai vertici di Sogin, il presidente Marco Ricotti e l’amministratore delegato Luca Desiata, sono indicati nel dettaglio la provenienza (vedi tabella in alto) e il livello di attività (vedi tabella a fianco). Nel 2010 Sogin è stata investita, per legge, del compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito nazionale e il relativo Parco Tecnologico, che consentirà lo smaltimento di circa 77.800 metri cubi di rifiuti radioattivi di attività bassa e molto bassa oltre allo stoccaggio di altri 17.400 metri cubi di rifiuti radioattivi di attività media e alta attività.
In attesa della sua realizzazione, il decommissioning prosegue utilizzando i depositi temporanei allestiti in diverse aree del territorio nazionale. E in parte, come detto, stoccando all’estero, nei depositi di Sellafield in Gran Bretagna e La Hague in Francia. Stando ai dati presentati dal tandem Ricotti-Desiata, dall’insediamento dell’attuale vertice (in scadenza) di Sogin, nell’estate 2016, i costi per l’attività della società di Stato interamente partecipata dal ministero dell’Economia si sono ridotti del 9%. Migliorando, parallelamente, la velocità di esecuzione: nel 2018 ha svolto internamente attività di decommissioing.
Ma a che punto siamo con lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari e che tempi si prevedono per portare a termine affidata alla Sogin otto anni fa? A Trino, Caorso, Garigliano è già partita la fase-2, quella dello smantellamento. Che sarà completata rispettivamente nel 2029, nel 2031 e nel 2026. Dopodiché ci vorranno altri sei anni (a Trino e al Garigliano) e altri tre (a Caorso) per il conferimento dei rfiuti nucleari al Deposito nazionale. Quanto alla centrale di Latina, lo smantellamento inizierà il prossimo anno e si protrarrà fino al 2038. Dopodiché occorreranno altri quattro anni per ultimare il conferimento dei rifiuti.
Cemex di Saluggia, tutto da rifare.
Indietro, decisamente indietro. Al punto che il 14 agosto dell’anno scorso, a seguito dei gravi inadempimenti da parte del Raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) al lavoro sul Complesso Cemex di Saluggia, Sogin ha fatto valere le clausole del contratto, risolto il successivo 13 settembre. Una decisione, si legge nel report dell’azienda di Stato consegnato ieri alla commissione Industria di Palazzo Madama, “assunta dopo aver registrato, alla scadenza contrattuale del 12 agosto 2017, un avanzamento dei lavori inferiore al 10% a fronte dell’impegno contrattuale dell’Rti di consegnare a Sogin l’impianto completo in tutte le sue parti”.
In ogni caso, assicura la Sogin, “lo slittamento delle attività di realizzazione dell’impianto non pregiudica il mantenimento in sicurezza dei liquidi radioattivi presenti presso il sito di Saluggia”. Entro metà 2019 è previsto l’avvio della nuova gara per il complesso Cemex. con l’obiettivo di completare l’opera e ultimare i collaudi per giugno del 2023. L’entrata in esercizio dell’impianto è prevista a dicembre 2024 a prove nucleari ultimate.