Il governo addita il Superbonus 110% a capro espiatorio, come se tutte le difficoltà economiche attuali fossero colpa della misura che ci ha salvati dopo la pandemia.
Lidia De Santis
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Gentile lettrice, è questione di faccia tosta, una dote che Meloni e compagni posseggono a iosa. Il Superbonus è stato il motore della crescita post pandemica, ma era una misura eccezionale che andava ricalibrata con gradualità. Non ci voleva un genio per capire che abolirla in modo repentino avrebbe provocato crolli a catena. Però i cervelli dei melonari non c’erano arrivati. Così il Pil è passato dal +8,3% procurato dall’ultima finanziaria di Conte, al +3,7 di Draghi, al pessimo –0,4 del trimestre scorso. E penso che scenderà ancora tra poco, quando nel ciclo dei consumi mancheranno anche 7-8 miliardi del Reddito di cittadinanza. Quelli erano soldi impiegati dalle famiglie per il sostentamento e quindi entravano subito in circolo nel sistema. Il calo dei consumi è uno dei fattori della crisi. L’altro è la frenata delle esportazioni, soprattutto in Europa dove i nostri maggiori acquirenti, Germania e Francia, sono in crisi. Sulle esportazioni in definitiva pesano le pazzesche sanzioni alla Russia. Ma povertà e calo dei consumi, che saranno aggravati ora dalla contrazione dell’edilizia e dall’abolizione del RdC, sono un regalo di questo governo al Paese. Quanto al Superbonus, i calcoli di Nomisma parlano chiaro: è costato 88 miliardi, ha generato più di 200 miliardi di valore economico, ha creato un milione di posti di lavoro e ha permesso un risparmio per le famiglie di 30 miliardi di euro. Il resto sono fandonie.
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