Nessuna novità rilevante, la conferma di un 2025 difficile per gli stabilimenti italiani e un netto No al piano del governo di riconvertire l’auto in industria della Difesa. L’audizione in Parlamento, davanti alle commissioni di Camera e Senato, del presidente di Stellantis, John Elkann, non cambia più di tanto le carte in tavola. Il governo, almeno nella sua componente di Fratelli d’Italia, si fa andare bene le parole di Elkann, mentre la Lega è critica. Così come l’opposizione.
La vera novità riguarda la netta chiusura di Elkann alla proposta del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, di riconvertire la produzione verso il settore della Difesa: “Osserviamo che la Cina e gli Usa hanno un’importante industria bellica e un’importante industria dell’auto. Riteniamo che non sia una scelta tra industria dell’auto e l’industria bellica, si possono avere due industrie forti”, afferma Elkann. Insomma, il futuro dell’auto non è “l’industria bellica”, a suo giudizio.
Stellantis, tutto fermo in Italia: la crisi resta
Nessuna novità concreta, però. Elkann fa un discorso centrato sul ruolo dell’Italia, ma senza alcuna assunzione di responsabilità, come sottolinea Carlo Calenda. “Se non ci fosse Stellantis oggi non saremmo qui, perché l’auto italiana sarebbe scomparsa”, afferma Elkann. Che rivendica: per ogni euro di valore creato da Stellantis, “se ne generano 9 nel resto dell’economia”. Per Elkann l’Italia ha “un ruolo centrale” e ora si punta a un “percorso virtuoso”. Parole che non convincono la Lega, che anzi parla di “vergognosa presa in giro: il suo gruppo è cresciuto grazie ai soldi degli italiani, italiani che poi ha licenziato per investire e assumere all’estero”.
Elkann invece parla delle difficoltà del mercato, conferma l’impegno del Piano Italia concordato col governo ma ammette che la situazione non migliora: “Il 2025 sarà un altro anno difficile”, spiega ribadendo quanto già detto al tavolo al Mit. Il mercato italiano è in contrazione del 7% a inizio anno e una svolta si attende nel 2026 con “un aumento della produzione grazie al lancio di 10 nuovi aggiornamenti di prodotto nelle fabbriche italiane”. Poi si lamenta dello “svantaggio strutturale” rispetto ai concorrenti cinesi, “pari al 40% del costo manifatturiero complessivo”.
Sulla chiusura alla riconversione in industria bellica, Elkann sembra raccogliere il plauso della segretaria del Pd, Elly Schlein, che ritiene questa idea “propaganda di Stato per coprire una difficoltà del settore”. Per Chiara Appendino, deputata M5S, è una “follia che un lavoratore del settore auto debba decidere se produrre armi”. Ma quella di Elkann sull’industria bellica è l’unica rassicurazione (per le opposizioni, meno per il governo), perché sul fronte degli stabilimenti italiani di garanzie ne sono arrivate ben poche.