Con l’accordo sulle candidature unitarie per le elezioni regionali di settembre sembrava che, dopo settimane malumori, dalle parti del centrodestra ci fosse stata una schiarita. È arrivata invece come un fulmine a ciel sereno, almeno per Giorgia Meloni che si è sempre distinta per un certosino lavoro di ricomponimento delle fratture all’interno della coalizione, la stoccata del governatore Luca Zaia sul tema dell’autonomia. Che per il leghista è una questione assolutamente prioritaria. “È il big bang delle riforme istituzionali, è una chiamata di popolo. Vince la voglia di essere padroni a casa nostra”, così aveva commentato l’esito del referendum consultivo dell’ottobre 2017 per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alla Regione Veneto che, con un plebiscito per il Sì (98,1%) aveva aperto le porte alla trattativa col governo centrale, poi arenata.
E adesso, fresco di investitura ufficiale per la riconquista, per la terza volta, di Palazzo Balbi, Zaia, in un’intervista al Corriere, ci riprova: “Chi non crede nell’autonomia non sarà al mio fianco”. Messaggio chiaro all’indirizzo della sovranista Meloni, leader di un partito da sempre impegnato a difesa dell’unità e della centralità dello Stato. Argomenti che certo non raccolgono entusiasmo nel “profondo” nord fra i leghisti delle origini. “Chiederò un impegno pubblico scritto, candidarsi in Veneto significa impegnarsi per l’autonomia senza se e senza ma”, ha puntualizzato Zaia con tanto di affondo: “Non capire che questo processo è irreversibile significa essere fuori dalla storia. Volere bene al Paese non significa solo cantare bene l’Inno di Mameli e sventolare il Tricolore”.
Immediata la replica della leader di FdI che non le manda a dire e cita l’esperienza del governo Gialloverde: “Noi abbiamo già firmato nel 2018 un programma che prevedeva sostegno all’autonomia regionale. La nostra unica e permanente preoccupazione è che sia garantita l’unità nazionale, per questo abbiamo chiesto in cambio alla Lega di impegnarsi formalmente su un convinto sostegno al presidenzialismo. Vorremmo che gli alleati – ha proseguito Meloni – si impegnassero anche sul patto anti inciucio, perché Zaia sa bene che non siamo stati noi, ma il M5S al governo gialloverde, a impedire che l’autonomia si realizzasse. Noi abbiamo sempre rispettato alleanze e programmi, come tutti sanno.
Un impegno a non fare patti con partiti diversi da quelli con i quali ci si candida è una garanzia per tutti, e per chi ci vota per vedere realizzato il nostro programma. ma la partita “a ping pong” non finisce qui e a stretto giro arriva anche la controreplica del Doge: “Confermo tutta l’intervista, forse non bisogna leggere solo i titoli. Se Meloni l’ha letta non può fare certe affermazioni”. E ull’ipotesi di uno “scambio” presidenzialismo-autonomia ha aggiunto:“L’autonomia non ha bisogno di essere scambiata con nulla. Io non c’entro nulla con questo tavolo. Spetta a Salvini, segretario del mio partito, parteciparvi, perché ognuno ha il suo ruolo. Io non ho partecipato mai a trattative che pongano autonomia e presidenzialismo come oggetto di scambio”. Il primo round si conclude così. Non certo affettuosamente.