Ernesto Carbone, consigliere laico del Csm, tra i pilastri della riforma Nordio c’è la separazione delle carriere che di fatto porterebbe alla nascita di due distinti Csm. Cosa ne pensa?
“Sono da sempre contrario alla separazione delle carriere. Sono favorevole alla commistione delle carriere. Mi spiego meglio: prima di fare il pubblico ministero fai per 5 anni il giudice. Anche due Csm non servono al miglior funzionamento della giustizia. Guardi il recente caso portoghese. Il primo ministro Antonio Costa si è dimesso per la trascrizione errata di una intercettazione. Un classico errore (o forse orrore) giudiziario. In Portogallo ci sono carriere separate e doppio Csm. Eppure è successo. È la prova che la separazione non serve a niente”.
E sull’eventuale passaggio dalla obbligatorietà alla discrezionalità dell’azione penale, cosa ne pensa?
“L’azione penale deve rimanere obbligatoria. Mi chiedo però (e mi creda non ho una risposta) se sia necessaria una sorta di gerarchia dei reati da perseguire. Una volta un famoso pubblico ministero mi disse che mentre si indagava su Ruby, Milano diventava la prima città europea per spaccio di cocaina”.
Esiste il rischio che la magistratura finisca sotto il controllo dell’esecutivo?
“Se si separano le carriere il rischio è più che concreto. Certo, non subito, ma la strada sarebbe segnata. Mi rimetto per un attimo nei panni del politico, non vorrei lasciare a mia figlia un Paese in cui il governo controlla il pubblico ministero”.
L’ipotesi di un’Alta Corte che giudichi sia i magistrati giudicanti che requirenti è una risposta agli errori della magistratura che le cronache degli ultimi anni ci hanno restituito?
“Non commento indiscrezioni giornalistiche. Il giorno in cui ci sarà un testo ufficiale ci risentiamo”.
Libertà di stampa e indipendenza della magistratura due pilastri dello stato di diritto. L’uso delle intercettazioni da parte dei giornalisti rientra nella libertà di stampa, o si corre il rischio di distruggere vite con informazioni delle volte del tutto inutili ai fini processuali e alla discussione pubblica?
“Le rispondo così: la vera separazione delle carriere è quella tra magistrati e giornalisti. Nel nostro Paese troppo spesso i processi si fanno in televisione e sui giornali, troppo spesso si fanno in un contesto di un dibattito pubblico esasperato e troppo spesso il racconto della cronaca è supersemplificato. Ecco tutto ciò fa male alle istituzioni ma soprattutto fa male ai cittadini”.
Oltre ad essere un avvocato, lei è stato anche un parlamentare molto noto e attivo proprio sui temi della giustizia. Avendo avuto anche questo ruolo, come guarda oggi da membro del Csm alle tensioni tra politica e magistratura?
“La dialettica anche dura fra organi dello Stato non mi spaventa. Il confronto è sempre un bene. Per me un politico può criticare una sentenza, ma deve rispettarla. Allo stesso modo un magistrato può criticare una legge ma deve applicarla”.
Quali sono secondo lei le priorità che una riforma della giustizia dovrebbe mettere al centro della propria azione?
“I veri problemi della giustizia sono altri. Nel 2017 ci sono state 129mila prescrizioni di cui 100mila ancora prima di arrivare in tribunale. Dal 1992 al 2018, 27mila innocenti sono finiti in carcere. Parliamo di mille persone all’anno. Tre al giorno. Una ogni 8 ore”.