Da un lato, le operazioni a Rafah sono vicine alla conclusione; dall’altro, il fronte nord con Hezbollah continua a surriscaldarsi dopo l’annuncio di Benjamin Netanyahu secondo cui “parte delle forze attive nel sud della Striscia”, presto “verranno spostate al confine” con il Libano. Insomma, tutto lascia pensare che la guerra fin qui confinata a Gaza e dintorni, presto possa allargarsi.
Uno scenario che gli Stati Uniti di Joe Biden stanno provando a disinnescare da settimane, ottenendo ben pochi risultati, e che preoccupa non poco Washington visto quanto affermato, in quello che appare come un ultimo tentativo per evitare il disastro, dal capo degli Stati Maggiori Riuniti USA, Charles Brown. Infatti, l’alto ufficiale ha detto chiaramente che gli Stati Uniti, diversamente da quanto successo in occasione del massiccio attacco con i droni lanciato dall’Iran, “non saranno in grado di aiutare Israele a difendersi” in una eventuale guerra con Hezbollah.
Netanyahu si prepara all’offensiva contro Hezbollah ma gli Usa lo avvisano: “In caso di guerra in Libano, sarà impossibile garantire la difesa di Israele”
Questo è dovuto sia al fatto che le capacità delle milizie libanesi sono ben superiori a quelle di Hamas, con il risultato che un’eventuale rappresaglia sarà infinitamente più dura di quella vista nella Striscia di Gaza, sia alle decisioni della Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, che “sarà più orientato a sostenere Hezbollah, soprattutto se riterrà che sia particolarmente minacciato”. Insomma, il timore, sostenuto anche da fonti di intelligence occidentali, è che sia altamente probabile un intervento di Teheran, con il rischio che a cascata anche altri Paesi, tra cui Siria e Iraq, potrebbero accodarsi. Tensioni per un’escalation incontrollata del conflitto che sono condivise anche dall’Unione Europea
. A dirlo è l’Alto Rappresentante dell’UE per la Politica Estera, Josep Borrell, secondo cui “il rischio che questa guerra colpisca il sud del Libano e si espanda è ogni giorno più grande”, aggiungendo senza mezzi termini che “siamo alla vigilia dell’espansione della guerra”. Dello stesso avviso è la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, secondo cui le tensioni tra Israele e Hezbollah sono “molto preoccupanti”, arrivando a dire che “un’ulteriore escalation sarebbe una catastrofe per la popolazione di tutta la regione mediorientale”.
Netanyahu tira dritto
Un pressing costante da parte dell’Occidente sullo Stato ebraico che, però, continua a resistere. Anzi, Netanyahu sembra deciso ad agire contro tutto e tutti visto che, in conferenza stampa, ha ribadito che intende “ridispiegare alcune forze al nord”, principalmente per scopi difensivi, anche se ha spiegato che “possiamo lottare su più fronti, siamo preparati per questo”. Del resto, continua Bibi, nella prossima fase del conflitto mediorientale “l’obiettivo” di Israele “è di allontanare fisicamente il gruppo sciita filo-iraniano dal confine”, in modo da “riportare i residenti del nord alle loro case” e arrestare il martellante lancio di razzi dal sud del Libano al nord dello Stato ebraico. Quel che è certo è che nel frattempo si continua a combattere nella Striscia di Gaza.
Questo nonostante il primo ministro di Israele stia ripetendo di essere disposto “a sospendere i combattimenti” nella Striscia con un accordo “parziale”, in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Una tregua temporanea, ben lontana dalla richiesta dei terroristi palestinesi che chiedono un cessate il fuoco definitivo, a seguito della quale “saremo obbligati a riprendere i combattimenti, per raggiungere il nostro obiettivo di distruggere Hamas” visto che, ha concluso Netanyahu, “non sono disposto a rinunciare a questo obiettivo”.
Disastro umanitario a Gaza
A farne le spese, come spiegato dall’Alto Rappresentante dell’UE per la Politica Estera, Josep Borrell, saranno i civili palestinesi visto che “la fornitura di assistenza umanitaria all’interno di Gaza è diventata impossibile. Nonostante tutte le pause tattiche e gli annunci, la situazione è che nessun aiuto sta entrando a Gaza. Sono stoccati fuori dal confine, alcuni beni si stanno deteriorando e saranno distrutti”. “La cosa più importante non è il prezzo delle cose che andranno perse, ma il fatto che non possono entrare” ha aggiunto Borrell, precisando che “se anche entrassero, non ci sarebbe alcuna possibilità di distribuirli a causa della mancanza di ogni tipo di organizzazione” in quanto “il tessuto sociale, non gli edifici, è stato completamente distrutto”.