Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, l’esercito israeliano (Idf) di Netanyahu non ha perso tempo, invadendo le alture del Golan e sostenendo che si trattava di un’occupazione “limitata e temporanea”. Tuttavia, queste rassicurazioni, già accolte con scetticismo e criticate dalla comunità internazionale, sono state completamente smentite dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha autorizzato un piano per espandere gli insediamenti sul territorio siriano occupato. “Rafforzare il Golan significa rafforzare lo Stato di Israele, ed è particolarmente importante in questo momento. Continueremo a tenerlo stretto, a farlo fiorire e a stabilirci in esso”, ha dichiarato Netanyahu.
Un leader che sembra insensibile alle critiche, forse rafforzato dal sostegno del prossimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il quale continua a difendere Israele su ogni fronte. Trump, sempre più diretto e fuori controllo, ha dichiarato: “La caduta dello spietato regime dittatoriale di Assad è il risultato diretto dei duri colpi inferti a Hamas, Hezbollah e all’Iran. L’asse non è ancora scomparso, ma come avevo promesso, stiamo trasformando il volto del Medio Oriente. Chiunque collabora con noi ne trae grandi benefici. Chiunque ci attacca, ha molto da perdere”.
Netanyahu si prende le alture del Golan: via libera a nuovi insediamenti
Quel che è certo è che l’occupazione delle alture del Golan, resa ormai “definitiva” dal provvedimento del governo Netanyahu, sta infiammando il Medio Oriente. Il mondo arabo è in rivolta: quasi tutti i Paesi della regione, a partire dagli Emirati Arabi Uniti, hanno esortato Israele a rinunciare “all’occupazione illegale della Siria”, definendola “un’ulteriore escalation che aumenta le tensioni nella regione”. Particolarmente dura la posizione dell’Egitto, che ha chiesto l’intervento dell’Onu e ha parlato di “violazione del diritto internazionale” da parte di Israele, accusato di imporre “una politica del fatto compiuto” che dimostra “ancora una volta la mancanza di volontà di raggiungere una pace giusta nella regione”.
Sul fronte occidentale, prevale un silenzio carico di imbarazzo, fatta eccezione per la Germania. Il portavoce del ministero degli Esteri tedesco, Christian Wagner, ha affermato: “È perfettamente chiaro, secondo il diritto internazionale, che quest’area controllata da Israele appartiene alla Siria e che Israele è quindi una potenza occupante. Tel Aviv deve abbandonare questo piano di annessione territoriale”.
Il Medio Oriente ribolle
Tuttavia, è difficile immaginare che Netanyahu faccia marcia indietro. Anzi, tutto lascia pensare che possa ulteriormente intensificare le sue azioni, come dimostrano i recenti attacchi aerei segnalati dall’Osservatorio siriano per i diritti umani contro siti militari nella regione costiera di Tartus. Ma non è tutto. Confermando i timori di una possibile escalation, Netanyahu ha dichiarato: “Non siamo interessati a entrare in uno scontro con la Siria”, aggiungendo però che “la Siria è un nemico attivo di Israele da decenni” e che eventuali problemi potrebbero innescare un conflitto.
Nel frattempo, la Striscia di Gaza continua a essere teatro di violenze. Nonostante il minor spazio mediatico, i combattimenti proseguono, come dimostrato dall’ultimo raid israeliano su una scuola nel sud di Khan Younis, che ha provocato la morte di almeno 20 persone, tra cui diversi bambini. Tuttavia, da Gaza giungono segnali di possibile distensione: l’accordo di pace tra Hamas e Israele, con la contestuale liberazione degli ostaggi detenuti dal gruppo terroristico, sembra sempre più vicino. Le voci di un annuncio ufficiale prima di Natale si fanno infatti sempre più insistenti.