Davanti a un Medio Oriente in fiamme e ai rischi di un’escalation del conflitto, la diplomazia occidentale non sembra riuscire a far ragionare il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Infatti, non ha avuto effetto il viaggio a Tel Aviv del segretario di Stato USA, Antony Blinken, che oltre a ribadire “l’incrollabile impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele”, ha chiesto – senza ricevere risposta – di intensificare gli sforzi per promuovere una soluzione diplomatica al conflitto nella Striscia di Gaza e in Libano.
Il diplomatico americano, dopo aver incontrato le autorità dello Stato ebraico e prima di partire per l’Arabia Saudita, ha spiegato che “Israele ha fatto progressi nel permettere l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, ma non è ancora abbastanza”, aggiungendo che “dal 7 ottobre di un anno fa, Israele ha raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi strategici per quanto riguarda Gaza ed è ora il momento di trasformare questi successi in un successo strategico a lungo termine”, raggiungendo un accordo di pace.
Un invito che sembra essere caduto nel vuoto, tanto che, secondo quanto riporta il Times of Israel, Netanyahu e il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, durante l’incontro con Blinken hanno insistito “sul fatto che Israele non sta implementando il cosiddetto Piano generale volto a isolare la parte settentrionale di Gaza”. Una dichiarazione che non è sfuggita al segretario di Stato americano che, a quel punto, avrebbe esortato il primo ministro israeliano a dichiararlo pubblicamente, così da abbassare la tensione in Medio Oriente. Tuttavia, Netanyahu, di fronte a questa richiesta, avrebbe glissato, facendo infuriare Blinken. Non è andata meglio quando lo stesso diplomatico americano ha chiesto di ponderare attentamente l’annunciata rappresaglia contro l’Iran, per evitare “un’ulteriore escalation”, poiché le rassicurazioni fornite dalle autorità israeliane non sono state giudicate convincenti.
Netanyahu non sente ragioni
Il primo ministro israeliano, dunque, non sembra prendere in considerazione i suggerimenti dell’amministrazione di Joe Biden, preferendo proseguire per la sua strada. Come accade ormai da un anno, nella Striscia di Gaza e in Libano si continua a combattere e a morire. Mentre Beirut e i suoi dintorni vengono martellati dall’aviazione israeliana, a cui rispondono i quotidiani lanci di razzi da parte di Hezbollah verso Israele, ciò che desta maggiore preoccupazione è quanto accade a Gaza.
Particolarmente critica è la situazione al campo di Jabalia, nel nord della Striscia, sotto assedio da 17 giorni, dove si sono registrate altre 8 vittime civili. Altri sette palestinesi sono stati uccisi durante un attacco portato avanti da carri armati israeliani, che ha colpito una scuola trasformata in rifugio a Beit Lahiya. Attacchi continui che hanno spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a rinviare a data da destinarsi la campagna di vaccinazione antipolio, che mirava a immunizzare oltre 119.000 bambini nel nord di Gaza. La devastazione nella Striscia ha raggiunto livelli senza precedenti, tanto che, secondo l’ultimo rapporto dell’ONU, “se la guerra finisse domani e la regione tornasse allo status quo precedente al 7 ottobre, potrebbero volerci 350 anni perché la sua economia torni ai già traballanti livelli pre-guerra”.
Lo scoop del Financial Times sugli attacchi contro Unifil
In questo contesto, mentre il mondo intero trattiene il fiato in attesa della rappresaglia israeliana contro il regime iraniano di Ali Khamenei, fanno discutere le ultime indiscrezioni sugli attacchi ai caschi blu dell’UNIFIL in Libano nei giorni scorsi. Secondo quanto riporta il Financial Times, citando informazioni contenute in un rapporto di intelligence di un Paese non meglio specificato, l’esercito israeliano avrebbe utilizzato armi al fosforo bianco contro i peacekeeper delle Nazioni Unite.
Sempre secondo il quotidiano, quindici militari dell’ONU avrebbero manifestato sintomi compatibili con questa tipologia di arma, il cui uso è consentito dal diritto internazionale in teatri di guerra, ma vietato in contesti dove risiedono civili. Un episodio che, se confermato, costituirebbe l’ennesimo crimine di guerra da parte dell’esercito israeliano.