Si preannunciano giorni di fuoco per il Medio Oriente, dove i negoziati di pace procedono a rilento, con il consueto scambio di accuse tra Benjamin Netanyahu e Hamas per il presunto sabotaggio delle trattative. Tutto ciò non fa che avvicinare sempre più il ritorno alle ostilità nella Striscia di Gaza.
Come accade ormai da settimane, a dare il via al botta e risposta tra le parti – che preoccupa non poco i mediatori del Qatar e dell’Egitto – sono le dichiarazioni di Washington, che ha presentato una nuova proposta per estendere la fase 1 del cessate il fuoco, come richiesto più volte dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Una base di accordo che Hamas continua a rigettare, ritenendola inadeguata.
A dirlo molto chiaramente è stato il portavoce del movimento islamista palestinese, Hazem Qassem, secondo cui la proposta statunitense, evidentemente concordata con Tel Aviv, “mira a far saltare l’accordo” in quanto rinnega “quanto già concordato” a inizio gennaio e lascia aperta la porta al ritorno ai combattimenti. Si tratta di una prospettiva ben diversa da quella stabilita due mesi fa, visto che il secondo step del cessate il fuoco avrebbe dovuto stabilizzare in modo definitivo la pace, con il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza e la contestuale liberazione degli ostaggi israeliani e dei detenuti palestinesi.
“Non vogliamo tornare di nuovo in guerra e, se Israele riprende le sue aggressioni, non abbiamo altra scelta che difendere il nostro popolo” ha tagliato corto Qassem.
Netanyahu e Hamas giocano con il fuoco e a Gaza tornano i venti di guerra
Quel che è certo è che, mentre i negoziati sembrano a un passo dal fallimento, il movimento palestinese ha annunciato di aver raggiunto un accordo con Washington per la liberazione del soldato americano Edan Alexander, tutt’ora ostaggio di Hamas, e per la consegna dei corpi di quattro ostaggi statunitensi che hanno perso la vita durante i 15 mesi di guerra.
Una trattativa diretta tra il gruppo terroristico palestinese e il governo Trump ha irritato l’amministrazione Netanyahu, che ha messo in guardia gli Stati Uniti da accordi “diretti” con Hamas, ricordando che “mentre Israele ha accettato la cornice di Witkoff (l’inviato degli Usa per il Medio Oriente), Hamas rimane fermo nel suo rifiuto e non si è mosso di un millimetro”, preferendo “continuare con le manipolazioni dei fatti e la guerra psicologica” nei confronti di Israele.
Trump rilancia la deportazione dei palestinesi
Davanti a questo muro contro muro, appare improbabile un accordo di pace. Ciò che è ancora più preoccupante è che, in queste ore, è emersa una nuova giravolta di Donald Trump, che sembrava aver rinunciato al suo progetto di deportazione dei palestinesi da Gaza nei Paesi arabi vicini.
Infatti, dopo appena 24 ore da quello che sembrava un sacrosanto dietrofront, il tycoon ha nuovamente riproposto il suo piano, attivando contatti con le autorità di Sudan, Somalia e Somaliland per “discutere l’utilizzo dei loro territori come possibile destinazione per il reinsediamento dei palestinesi della Striscia di Gaza”.
A darne notizia, citando fonti addentro al dossier, è l’Associated Press, che fa sapere anche che il Sudan si è subito tirato fuori. Invece il Somaliland, secondo quanto riporta il Times of Israel, ha dichiarato di “non aver ricevuto nessuna proposta”, assicurando che “non ci sono – e non ci saranno – colloqui con nessuno riguardo al potenziale reinsediamento dei palestinesi”.
Dichiarazioni accolte con favore da Hamas, secondo cui Trump deve rassegnarsi perché la sua idea di futuro per Gaza è destinata al fallimento.