Saltati i negoziati nella Striscia di Gaza, è tornata la guerra e con essa anche il consueto scambio di accuse tra Hamas e il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu su chi abbia fatto naufragare le trattative. Per Bibi, l’unico responsabile è il gruppo terroristico, che “non ha accettato la proposta per il prolungamento del cessate il fuoco”.
Tuttavia, le condizioni poste da Israele – che non prevedevano il ritiro delle truppe dalla Striscia né la possibilità di stabilizzare la tregua in modo definitivo – sono state più volte definite inaccettabili da Hamas. Il gruppo, invece, sostiene di voler proseguire sugli accordi già presi a inizio gennaio, che, almeno in teoria, avrebbero dovuto portare alla seconda fase del cessate il fuoco.
L’ultimo botta e risposta è iniziato con Netanyahu, che ha respinto la proposta palestinese di fermare i raid sulla Striscia di Gaza e riprendere i negoziati, affermando che d’ora in poi “i negoziati si faranno sotto le bombe”. Dichiarazioni a cui Hamas ha risposto sostenendo di “non aver mai chiuso e di non voler chiudere la porta ai negoziati”, aggiungendo che “non c’è bisogno di nuovi accordi”, ma di andare avanti con il progetto di pace già avviato a gennaio.
Secondo Basem Naim, membro dell’ufficio politico del movimento palestinese, l’accordo sarebbe stato violato “centinaia di volte da Netanyahu e dal suo governo”, mentre Hamas, insiste, “ha sempre rispettato l’accordo e adempiuto ai propri obblighi”. Per questo, Hamas ha chiesto di “fare pressione” sugli Stati Uniti, principale sostenitore di Israele, affinché quest’ultimo “ponga fine a questa aggressione e a questa guerra genocida contro civili indifesi”.
“Sì ai negoziati ma sotto le bombe”, Netanyahu alza il tiro con Hamas e chiude le porte al cessate il fuoco
Le posizioni sembrano molto distanti e riuscire a fermare la guerra, almeno per il momento, appare utopico. In questo scenario di stallo delle trattative di pace, proseguono senza sosta e a ritmo serrato gli attacchi dell’esercito israeliano (Idf) in diverse aree della Striscia. Solo nelle ultime 24 ore, almeno 27 persone sono state uccise dagli attacchi israeliani, portando il bilancio della ripresa delle ostilità ad almeno 900 vittime.
Secondo i media locali, i nuovi raid dell’Idf hanno colpito principalmente Gaza City, Khan Yunis e Rafah. E la situazione rischia di peggiorare ulteriormente: l’esercito israeliano ha infatti lanciato un appello alla popolazione di Gaza, in vista di “pesanti raid”, affinché evacui le “zone pericolose di combattimento” nell’enclave palestinese.
Ma non è tutto. Nelle ultime ore, è tornato a infiammarsi anche il fronte con il Libano, dove sono ripresi i bombardamenti israeliani. Secondo l’agenzia di stampa statale libanese National News Agency, tra i feriti ci sarebbe anche un membro della forza di pace delle Nazioni Unite.
Israele si spacca
La ripresa delle ostilità ha portato alla riappacificazione tra Netanyahu e il leader dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, da sempre ostile a ogni forma di tregua. Il governo israeliano ha approvato all’unanimità la proposta del primo ministro di rinominare il suo ex fedelissimo come ministro della Sicurezza nazionale.
Ben diversa la posizione dei familiari degli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Al contrario, questi ultimi sono scesi in piazza in massa a Gerusalemme – con una manifestazione a cui hanno partecipato oltre 40mila persone – accusando Netanyahu di essere “un dittatore” che “abbandona la sua nazione e i propri connazionali per salvaguardare i propri interessi politici”. I manifestanti hanno rinnovato l’appello a tornare al tavolo delle trattative per salvare la vita ai prigionieri israeliani.