Dalla Striscia di Gaza al Libano, dalla Siria all’Iraq. Passano i mesi, ma continua la martellante campagna militare di Benjamin Netanyahu contro l’asse della resistenza, guidato dall’Iran, che sta causando una scia di sangue inimmaginabile. La novità del giorno è che Israele sembra stia aprendo un ulteriore fronte di guerra, dato che l’aviazione dello Stato ebraico ha colpito con forza la Cisgiordania, dove da giorni si registrano atti di violenza da parte dei coloni nei confronti dei palestinesi, che, almeno fino ad ora, era stata quasi del tutto risparmiata dalle bombe.
Netanyahu allarga il conflitto mediorientale: pioggia di bombe pure sulla Cisgiordania
Secondo il ministero della Salute palestinese in Cisgiordania, i raid aerei hanno causato la morte di due civili nei pressi del villaggio di Tammun e di altri due nel villaggio di Ash-Shuhada, vicino a Jenin. Va ancora peggio a Gaza, dove almeno 20 palestinesi sono stati uccisi durante un raid israeliano che ha colpito una casa a Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza. L’offensiva, secondo l’esercito israeliano (IDF), aveva lo scopo preciso di impedire che miliziani di Hamas potessero riunirsi, come ordinato da Muhammad Sinwar, fratello del defunto leader Yahya, che avrebbe preso il comando militare del gruppo per condurre attacchi contro le truppe di Netanyahu.
Gli attacchi dello Stato ebraico non hanno risparmiato nemmeno Beirut, la capitale del Libano, dove si sono registrati 16 morti a seguito di un attacco con droni e caccia israeliani che ha colpito la parte meridionale della città. Pioggia di bombe anche in Siria, dove sarebbe stato ucciso il capo dell’intelligence di Hezbollah per il Paese arabo, nel corso di un raid su Damasco. Di tutta risposta, le forze dell’asse della resistenza hanno contrattaccato, con il gruppo libanese che ha lanciato oltre 90 missili, alcuni dei quali hanno colpito il suolo di Israele.
Per i media israeliani è possibile un accordo di pace con Hezbollah
Insomma, si combatte in gran parte del Medio Oriente. Tuttavia, proprio in una delle giornate più nere del conflitto, in modo del tutto inaspettato, si è riaccesa la fiamma della speranza per una ripresa in extremis dei negoziati di pace in Libano. A dirlo è il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, secondo cui l’esercito israeliano ha ritirato diverse brigate dal Libano meridionale al fine di favorire i progressi negli sforzi per raggiungere un accordo con Hezbollah.
Citando fonti ben informate, il giornale riferisce che i funzionari israeliani coinvolti nei negoziati sperano di concludere un “accordo per il cessate il fuoco” con i combattenti libanesi “entro una settimana e mezza o due”. L’ottimismo deriverebbe dal fatto che il Libano avrebbe garantito a Israele “libertà militare” nel Sud del Paese nel caso in cui l’applicazione del cessate il fuoco fallisca. È difficile dire come stiano davvero le cose, perché questa notizia appare in netta contraddizione con quanto avviene sul campo di battaglia, dove proseguono le operazioni aeree e di terra contro Hezbollah, con quest’ultimo che risponde colpo su colpo.
L’Iran prova a spaventare Netanyahu: “La rappresaglia contro Israele arriverà quando meno te lo aspetti”
Come se non bastasse, c’è da chiedersi se Hezbollah potrà davvero siglare l’accordo, visto che il suo principale alleato, l’Iran della Guida Suprema Ali Khamenei, sembra a un passo dall’entrare in guerra. A lasciarlo intendere è stato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, il quale ha spiegato che “a differenza di Israele, la Repubblica Islamica dell’Iran non cerca un’escalation, ma ci riserviamo il diritto inalienabile all’autodifesa”, aggiungendo che Teheran “risponderà sicuramente all’aggressione israeliana” del 25 ottobre scorso “in modo tempestivo e appropriato, in modo molto misurato e ben calcolato”.
Araghchi ha anche ricordato che l’Iran “non riconosce l’esistenza del regime sionista” e che questo “non deve mettere alla prova la nostra volontà”, come fatto nell’ultimo anno con “continue provocazioni per causare l’ingresso in guerra dell’Iran”.