Dopo un lungo silenzio, complice la crisi in Siria, dove i gruppi jihadisti hanno ripreso ad avanzare con veemenza, si torna a parlare della Striscia di Gaza e delle accuse di presunto genocidio perpetuato da Israele nei confronti dei palestinesi. A rilanciare la questione è Amnesty International, l’organizzazione per i diritti umani, che nel suo ultimo rapporto accusa l’amministrazione di Benjamin Netanyahu di stare “commettendo un genocidio” su larga scala nell’enclave palestinese. Come si legge nel documento, il rapporto dovrebbe “servire da campanello d’allarme per la comunità internazionale”, spingendola a intervenire contro lo Stato ebraico.
Un rapporto che, spiega l’organizzazione, si basa su “dichiarazioni genocide e disumanizzanti del governo israeliano”, su immagini satellitari che documentano la distruzione del territorio e sulle testimonianze degli abitanti di Gaza raccolte tra il 7 ottobre 2023 e luglio 2024. “Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo di subumani, indegni del rispetto dei diritti umani e della dignità, dimostrando la sua intenzione di distruggerli fisicamente”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, aggiungendo che “tutto questo deve finire adesso”.
Il documento include anche un attacco agli “Stati che inviano armi a Israele”, accusandoli di “violazione degli obblighi di prevenire il genocidio” e di rischiare di diventarne complici. Dopo la pubblicazione del report, l’amministrazione Netanyahu ha subito replicato definendolo un dossier “fabbricato ad arte” e pieno di “falsità”. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha descritto Amnesty International come “deplorevole e fanatica”, sostenendo che “il massacro genocida del 7 ottobre 2023 è stato compiuto dall’organizzazione terroristica Hamas contro cittadini israeliani” e che la reazione dello Stato ebraico sarebbe “pienamente in conformità con il diritto internazionale” e un legittimo atto di difesa.
Il terremoto all’interno di Amnesty fa felice Netanyahu
Se la reazione di Tel Aviv era prevedibile, ha invece sorpreso la spaccatura consumatasi all’interno di Amnesty International. In modo inatteso, la sede israeliana dell’organizzazione per i diritti umani ha respinto con forza il rapporto pubblicato dalla branca internazionale, definendolo, come riportato dal Times of Israel, “artificioso” e giunto a una “conclusione predeterminata”.
A seguito di ciò, il presidente di Amnesty Israele e due esponenti palestinesi del direttivo dell’associazione hanno deciso di dimettersi. Un passo indietro che, secondo la sede internazionale, “riflette le profonde divisioni all’interno della sezione” di Tel Aviv, dove “la messa a tacere delle voci dei palestinesi da parte di Amnesty Israele è ritenuta inaccettabile e sarà oggetto di valutazione attraverso i processi democratici internazionali dell’organizzazione”.
In Siria si teme il peggio
Mentre la guerra continua a infuriare nella Striscia di Gaza, dove le forze israeliane (IDF) hanno lanciato una “violenta campagna di bombardamenti”, la situazione non è migliore in Siria. Dopo un breve stallo causato dai raid dell’aviazione russa, i gruppi armati jihadisti hanno ripreso la loro avanzata. Nelle ultime ore, i gruppi islamici, supportati dalla Turchia, sono riusciti a conquistare Hama, la quarta città siriana per dimensioni.
Questo successo, inaspettato, è arrivato a soli 24 ore dalla controffensiva delle forze di Bashar al-Assad, che erano riuscite momentaneamente a rompere l’assedio e a far ritirare le milizie jihadiste. Tuttavia, l’esercito regolare siriano ha confermato di aver abbandonato l’area, ora in mano al gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham. Nonostante la disfatta, le forze lealiste promettono una nuova controffensiva sulla città di Hama, dichiarando di essere certe di riconquistare “le aree occupate dai gruppi terroristici”.