La Polonia si prepara a celebrare l’80° anniversario della liberazione di Auschwitz con una decisione che ha tutta l’aria di essere un affronto al diritto internazionale. Varsavia ha dichiarato che Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, non verrà arrestato qualora decidesse di partecipare all’evento, nonostante un mandato della Corte penale internazionale (Cpi) penda su di lui per presunti crimini di guerra e contro l’umanità.
Un diritto internazionale a due velocità
La Corte penale internazionale è stata istituita per garantire che nessuno, nemmeno i leader mondiali, sia al di sopra della legge. La Polonia, come Stato membro della Cpi, dovrebbe collaborare con la Corte e rispettarne i mandati ma questa volta ha scelto diversamente. “Netanyahu non verrà arrestato sul territorio polacco”, ha dichiarato Andrzej Duda, il presidente polacco, aggiungendo che la partecipazione del leader israeliano è “una questione di rispetto per il popolo ebraico”. Rispetto, però, che si traduce in una deroga alle regole. La Polonia, insomma, si schiera apertamente contro i principi di giustizia che dovrebbe difendere.
La decisione non è isolata. Altri Paesi, come l’Ungheria, hanno già dichiarato di non voler eseguire mandati di arresto emessi dalla Cpi contro leader politici, dimostrando che l’applicazione del diritto internazionale è sempre più arbitraria. La realtà è che, per molti governi, la giustizia internazionale è uno strumento da usare a convenienza mai un principio da applicare con coerenza.
La scelta polacca è particolarmente simbolica se consideriamo il contesto. Auschwitz è il luogo che meglio incarna le atrocità umane e il fallimento della comunità internazionale nel prevenirle. Permettere a un leader accusato di crimini di guerra di presenziare a una commemorazione simile è, per alcuni, un ossimoro morale. Il significato della memoria può essere ridotto a un compromesso diplomatico?
Il nodo della questione non riguarda solo Netanyahu. Si tratta di capire quanto il diritto internazionale abbia ancora un peso reale. La Polonia, che si è più volte posta come paladina della sovranità nazionale in Europa, ora utilizza questa stessa sovranità per ignorare un principio fondamentale: che nessuno, indipendentemente dal ruolo, è immune dalla giustizia.
Il caso Netanyahu, inoltre, evidenzia il doppio standard con cui gli Stati applicano il diritto. Leader africani e asiatici sono stati frequentemente perseguiti dalla Cpi, mentre figure politiche di spicco occidentali e medio-orientali sembrano spesso godere di una sorta di impunità di fatto. I diversi approcci creano inevitabilmente una frattura nella credibilità della Corte, che viene percepita come selettiva e politicizzata.
La giustizia internazionale è nata per essere universale ma la sua applicazione è diventata un mosaico di eccezioni, compromessi e convenienze. La decisione della Polonia è solo l’ultimo esempio di come i governi siano pronti a calpestare i principi di diritto quando interferiscono con le loro strategie politiche. Nel caso di Auschwitz, un luogo dove la memoria dovrebbe rafforzare la necessità di giustizia, si sceglie invece di far prevalere l’opportunismo.
La comunità internazionale, intanto, rimane in silenzio. La Cpi non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito, e molti osservatori temono che questa vicenda possa diventare un pericoloso precedente. Se un mandato di arresto della Corte può essere ignorato con tanta facilità, quale futuro aspetta la giustizia internazionale?
Quando la memoria si piega all’opportunismo
La celebrazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz dovrebbe essere un monito contro l’impunità e un richiamo all’importanza della giustizia. Invece, rischia di trasformarsi in un altro esempio di come il diritto internazionale sia spesso solo una facciata. Un insieme di buoni propositi, pronti a essere messi da parte quando non tornano comodi. Auschwitz merita di meglio. E anche il mondo.