Marco Revelli, politologo e ordinario all’Università del Piemonte Orientale, questo è davvero il governo dei migliori?
“Se lo guardiamo dall’ultimo atto della sua costituzione, ovvero la squadra dei viceministri e dei sottosegretari, lo definirei una kakistocrazia, ovvero il governo dei peggiori perché il personale politico, nella maggior parte dei casi, è di basso profilo”.
E come giudica i suoi primi atti?
“Paghiamo più di due mesi di paralisi politica per la crisi aperta da Renzi. Non ci siamo ancora ripresi e l’impressione è che non sia arrivato il salvatore con la bacchetta magica a risolvere i problemi che, anzi, rimangono. E il silenzio di Draghi, presentato come un merito dai soliti violini di spalla, è un ulteriore problema. Non è corretto non spiegare ai cittadini, che non sono sudditi, le misure che ha preso e che mandi i suoi ministri avanti”.
Conte è stato criticato anche duramente e quotidianamente. Perché?
“Non era uno di loro. Non era uno del giro. Non apparteneva a quella sorta di cupola che ha gestito il Paese a prescindere dal colore politico dei governi. E che raccoglie gruppi di potere centrali nel nostro sistema economico ma che non sono certo modello di efficienza e trasparenza”.
Sulla gestione della pandemia vede un cambio di passo del governo Draghi?
“Non mi pare. Anche se forse è presto per dirlo. Ma per ora ho visto molta confusione. Quelli che applaudivano Draghi lo facevano aspettandosi aperture generalizzate, come Salvini. Ma non si può fare. Si considerava Conte un reprobo che anteponeva la salute all’economia, illudendosi che un banchiere fosse più sensibile al primato dell’economia. Nel caso del governo Conte la linea era tracciata e chiara qui è meno chiara ma altrettanto tracciata: non si può lasciare correre il virus come una mandria impazzita”.
Come giudica la scelta di affidarsi, anche solo per un supporto tecnico, a Mckinsey per il Recovery plan?
“Si poteva fare una scelta più felice che andare dal più scontato degli scontati degli advisor globali che è stato non solo uno dei principali volani della globalizzazione neoliberista ma ha anche alle spalle guai nei rapporti sia con i poteri pubblici che con i colossi privati. La lista dei clamorosi errori di Mckinsey è lunga almeno quanto la lista dei fallimenti di quel paradigma iperliberista che interpreta e che anche Draghi ha interpretato a lungo. Con un contratto da 25 mila euro che possono fare? Non scriveranno il Recovery, ovviamente, ma testeranno alcune linee e immaginiamo con quali criteri diranno che funzionano alcuni investimenti (per esempio come la Tav) o non funzionano alcune misure assistenziali”.
Draghi ha terremotato i partiti, dai 5S al Pd.
“Era inevitabile, mi stupisce che il Colle quando ha favorito questa soluzione non abbia considerato l’effetto collaterale. Tutto il sistema politico che si basa sui partiti è stato destrutturato. E ora sono tutti costretti a tenere posizioni schizofreniche, in contraddizione con ciò che sono stati fino a ieri. È stato un grosso azzardo. Meglio sarebbe stato trovare una ventina di responsabili per dare continuità all’azione di governo”.
Matteo Renzi ha aperto la crisi. Perché?
“è un cattivo politico, non lavora sui tempi medio-lunghi ma per il gusto di vincere all’istante. Il cambio tra l’avvocato e il banchiere era una rotta tracciata da un buon numero di gente di potere già dalle elezioni del 2018. Quando si sperava, in assenza di una maggioranza, di poter invocare il salvatore della patria. Subito Confindustria e i grandi giornali hanno iniziato, evocando Draghi. Poi Renzi ha giocato le sue carte, facendo cosa gradita a una costellazione di poteri e portandoci a questo risultato che gli fa credere di essere un king maker ma in realtà è la causa di una serie di disgrazie per il Paese”.