L’ex ministro alla Giustizia Roberto Castelli fa sul serio: il suo addio alla Lega è stato lungamente argomentato in una conferenza stampa tenuta ieri a Milano e no, non è uno scherzo. “Vogliamo dare la voce alla questione settentrionale, oggi più che mai c’è bisogno di un sindacato del nord”, ha detto l’ormai ex leghista, presidente di Autonomia e Libertà. Per Castelli “ci sono in giro più di 50 sigle federaliste e secessioniste in tutta l’Europa che fanno fatica a parlarsi. Lancio un appello a queste forze: se ci uniamo possiamo far sentire la nostra voce altrimenti il detto latino divide et impera sarà sempre più di attualità”.
Matteo Salvini ha fatto di Marine Le Pen la stella polare della Lega. Tra i due però le distanze restano siderali
Un impegno elettorale solo rimandato: “Se l’associazione cresce – ha detto Castelli – sarà ineludibile un impegno elettorale a ogni livello”. Dipende “se si riesce a costruire una forza autonomista” ampia, allora “il mio impegno ci sarebbe, poi fare campagna elettorale è divertente”. Ma “se uno vuole andare nell’agone elettorale deve avere un sacco di forza, oggi non incidiamo e noi abbiamo l’ambizione di incidere”. La “deriva centralista” di Salvini è un’accusa che pesa sulla leadership della Lega. Anche all’ultima festa leghista di Pontida sono diverse le voci che si sono levate per contestare l’accoglienza trionfale riservata a Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra francese Rassemblement National, definita “un’alleata e un’amica” dal segretario del Carroccio.
Dal 2015 Lega e Rassemblement National fanno parte dello stesso gruppo al Parlamento europeo, dapprima tra le file del gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà e dal 2019 nel gruppo Identità e democrazia. I due partiti hanno portato avanti insieme battaglie contro una maggiore integrazione europea, contro l’immigrazione e per la tutela della tradizione e della sovranità delle nazioni. Sull’autonomia però i due partiti hanno pensieri molto diversi.
Come spiega il sito Pagella politica la rivendicazione iniziale del partito di Salvini, fondato nel 1991 da Umberto Bossi, era quella di una riforma costituzionale in senso federale per diminuire i poteri dello Stato centrale a vantaggio della macroregione del Nord. Nel 1995 la Lega è passata a una politica apertamente secessionista chiedendo l’indipendenza per la “Padania”, indipendenza autoproclamata da Bossi l’anno successivo. Nei primi anni 2000 l’idea della secessione è stata abbandonata in favore di un progetto costituzionale di trasferimento di competenze dallo Stato centrale alle regioni, poi bocciato da un referendum costituzionale nel 2006.
Oggi questa battaglia è portata avanti, in modo meno drastico rispetto al passato, attraverso la riforma dell’Autonomia differenziata per concedere maggiori poteri alle Regioni. Diversamente dagli alleati della Lega, il Rassemblement National non si è mai distinto per una particolare attenzione alle autonomie locali. Questa caratteristica del partito di Le Pen è stata sottolineata dall’ex europarlamentare leghista Mario Borghezio, che durante il raduno di Pontida ha definito la presenza della politica francese “una grave contraddizione”. Secondo Borghezio, infatti, Le Pen è una “nemica delle autonomie”, a cominciare da quelle di Corsica, Catalogna e Paesi Baschi.
Mentre i leghisti inseguono il sogno federalista la leader francese è la paladina del centralismo totale
Marine Le Pen si è candidata tre volte alle elezioni presidenziali francesi: nel 2012, nel 2017 e nel 2022. In nessuno dei programmi elettorali presentati in queste occasioni le autonomie locali occupavano un posto di primo piano. Anzi: Le Pen ha spesso proposto riforme per limitarle. Per esempio, a gennaio 2012, in un discorso programmatico Le Pen sosteneva che “lo Stato deve recuperare la sua piena legittimità nella gestione della politica nazionale, in particolare arrestando la deriva del decentramento”.
Per raggiungere questo obiettivo Le Pen proponeva di limitare per legge le competenze degli enti locali (che in Francia sono i comuni, i dipartimenti e le regioni) e rafforzare i poteri dei prefetti, ossia i funzionari del governo centrale che garantiscono l’ordine pubblico nei vari dipartimenti. Nel programma elettorale del 2017 Le Pen chiedeva una revisione complessiva della struttura degli enti locali. La proposta era di “mantenere tre livelli di amministrazione: comuni, dipartimenti e Stato”, eliminando dunque le regioni. Alle elezioni presidenziali del 2022 il tema delle autonomie locali non era menzionato nel programma di Le Pen. Amicizia per convenienza, senza nessuna convergenza politica. L’ipocrisia politica prima o poi emerge. Non è questione che riguarda solo Castelli.