La sanità pubblica è al collasso, con liste d’attesa infinite, ma intanto almeno una visita su dieci all’interno degli ospedali pubblici avviene attraverso il sistema intramoenia, ovvero con i cittadini che la pagano come se fosse una prestazione fornita dal privato.
Il fenomeno dell’utilizzo degli spazi pubblici per la sanità di fatto privata non è nuovo né illegale, ma con liste d’attesa sempre più lunghe rischia di diventare il pane quotidiano per chiunque abbia bisogno di visite o cure. O, almeno, per chi se lo può permettere.
Per le visite ginecologiche l’intramoenia è utilizzata più di tre volte su dieci, per le cardiologiche siamo al 20%, per una ecografia ginecologica la percentuale sale al 36%. I dati emergono dal rapporto Agenas sull’Attività libero professionale intramuraria e consegnano un quadro allarmante.
Nella sanità il pubblico si fa privato
I pazienti in Italia sono sempre più spesso costretti a pagare le prestazioni in libera professione dei medici soprattutto a causa di liste d’attesa lunghissime per accedere al Servizio sanitario nazionale. Il numero di queste prestazioni di fatto private è aumentato nettamente rispetto al pre-pandemia, complici proprio le liste d’attese più lunghe.
Il dato peggiore, secondo l’Agenas, si registra in Campania, dove addirittura viene superata con l’intramoenia la quota ordinaria di prestazioni gratuite pubbliche, anche se in teoria non è consentito dalla legge.
In Italia nel 2019 in intramoenia si effettuavano 4,76 milioni di prestazioni contro le 58,99 milioni istituzionali (cioè con il servizio pubblico): il dato è salito nel 2022 a 4,93 milioni contro 59,79 milioni.
Nella maggior parte dei casi si ricorre al privato negli spazi pubblici per le visite specialistiche (3,7 milioni di casi). Le cifre più alte si registrano per le visite cardiologiche (588mila), ginecologiche (476mila), ortopediche (466mila), per un elettrocardiogramma (357mila) e per le visite oculistiche (354mila). L’incidenza maggiore si ha nella ginecologia (32%), nella cardiologia (17%) e nell’ortepedica (12%).
Perché i pazienti sono costretti a scegliere l’intramoenia
La questione è semplice: i pazienti sono di fatto costretti a scegliere l’intramoenia per evitare tempi di attesa infiniti. Ricorrendo alle prestazioni private negli ospedali, invece, nel 56% dei casi il tempo di attesa è inferiore ai 10 giorni; nel 30% le prestazioni vengono erogate tra gli 11 e i 30/60 giorni e solamente nel 14% dei casi servono più di 30/60 giorni. Che praticamente è la soglia minima per il Servizio sanitario nazionale, che molto spesso richiede tempi molto più lunghi (persino di anni, in alcuni casi).
Dal report Agenas emergono anche tanti casi di abusi, soprattutto nei casi in cui l’intramoenia supera le visite istituzionali: succede per 29 aziende sanitarie nel caso dell’ecografia ginecologica, per 12 sulle visite ginecologiche e per 5 nella chirurgia vascolare.