In psicologia i linguaggi non verbali sono importanti quanto la comunicazione verbale e altrettanto lo sono i segnali: la decisione del leader della Lega Matteo Salvini di presentarsi ai giornalisti, dopo aver convocato la sua segreteria politica, per le dichiarazioni di rito in un momento clou – domani la delegazione della Lega incontrerà Mario Draghi – con a fianco Giancarlo Giorgetti, che andrà non a caso alle consultazioni e che come è noto non ha mai nascosto la sua stima nei confronti dell’ex governatore della Bce, è un segnale.
Anche stavolta il vice segretario del Carroccio non lesina giudizi positivi, paragonando il premier incaricato ad un campione indiscusso a livello mondiale (“Lui (Draghi, ndr)è un fuoriclasse, come Cristiano Ronaldo, non deve stare in panchina”) e soprattutto annunciando che per la Lega “L’astensione è esclusa. O saremo a favore o voteremo contro”. Salvini, dunque, non può che affermare che le sue scelte – alla fine decide lui, sia chiaro – saranno orientate a ciò che ritiene giusto per il Paese: “Per noi viene prima l’interesse del Paese, ancor prima di quello di partito. Se dovessi fare l’interesse del partito starei fuori ad assistere a quello che succede dicendo è colpa di Conte, è colpa di Renzi.”
Ed in questa affermazione, velatamente ma non troppo, la stoccata è all’alleata Giorgia Meloni che del suo “no” perentorio a qualsiasi forma di partecipazione o sostegno ad un eventuale esecutivo Draghi ha fatto un mantra, nel nome della coerenza e della assoluta indisponibilità a partecipare a maggioranze in cui vi siano forze di sinistra (Pd e Leu) e i 5stelle: “Noi a differenza di altri non abbiamo già scelto il sì o il no prima di andare a parlare con Draghi”, affonda, puntando il dito contro il no a priori della leader di FdI senza un confronto con il premier incaricato sui temi.
Temi che invece il leader della Lega metterà sul piatto al cospetto dell’ex governatore di Bankitalia (le chiama richieste, non condizioni):“Taglio delle tasse, taglio della burocrazia e controllo dei confini”, ma un aut aut, pesante, lo pone: “Noi siamo disposti a ragionare con tutti per il bene dell’Italia ma Draghi dovrà scegliere tra Grillo e la Lega. Se le richieste di Grillo sono la patrimoniale sui risparmi degli italiani, il nostro è l’esatto contrario: è il taglio delle tasse per famiglie e imprese, a questo punto sarà il professor Draghi a dover scegliere”.
Chiaro, dunque, il distinguo programmatico nei confronti degli ex alleati del M5s, ma arriva anche nei confronti degli attuali (con i quali si presenterà diviso alle consultazioni) e il Capitano una frecciatina la riserva pure a Silvio Berlusconi: “Noi a differenza di altri, dove ci sono correnti, fuoriusciti e ripensanti, siamo liberi. In base alle risposte che avremo faremo le nostre scelte. Ho appena finito la segreteria politica con gli amministratori locali della Lega, noi ci confrontiamo sulle idee, poi quando si sceglie la Lega si muove come un sol uomo”.
Il riferimento è ovviamente a FI e a i suoi fuoriusciti e al fatto che in questi giorni si sono rincorsi rumors secondo cui Mara Carfagna (le correnti…) avrebbe “minacciato” il Cavaliere di una scissione se non avesse appoggiato Draghi per seguire le sirene sovraniste. Ipoesti smentita ieri mattina da una nota diramata dallo stesso Berlusconi in cui ha ribadito “l’antica stima” che lo lega a Draghi, una “personalità di alto profilo istituzionale attorno alla quale si può tentare di realizzare l’unità sostanziale delle migliori energie del Paese”. Insomma, quando da Mattarella è stato fatto il nome del banchiere da FI nessun dubbio: “Mancava solo la ola” ci confida il deputato azzurro Giorgio Mulè.