Si sente poco e si vede ancor meno. Fatta eccezione per qualche rassicurazione davanti all’ennesima impennata dello spread, da tempo il ministro Giovanni Tria è costantemente fuori dai radar. Chiamato dal Copasir per un’audizione il suo intervento però sembra destinato a pesare nei suoi già difficili rapporti con il resto del Governo giallo-verde. Le indiscrezioni che filtrano dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica come sempre sono poche. Ma tra queste vi è quella che il titolare del dicastero dell’economia e finanze, parlando dei rischi per l’economia, si è concentrato su quelli provenienti dall’Oriente. Comprese le operazioni di shopping in settori delicati come le telecomunicazioni. Tradotto quelle della Cina sul 5G. Posizioni che inevitabilmente riaprono la battaglia sui rapporti con Pechino. Siglati a fatica due mesi fa gli accordi, al termine delle ennesime schermaglie tra i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, la Via della Seta sembrava priva di particolari intralci. E ora non è più così.
Il Copasir, nell’attività di costante verifica sulle attività dei Servizi, a più riprese convoca i componenti del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il Cisr, di cui fa parte il numero uno del Mef. Quando martedì pomeriggio si è seduto a Palazzo San Macuto, il ministro ha così fatto una relazione sui possibili rischi per l’economia a causa del cybercrimine e delle operazioni compiute da Paesi stranieri. Tria, in base a quanto è stato possibile sapere, ha tracciato un quadro dei pericoli legati al cybercrimine, che ha già arrecato danni milionari alle aziende italiane, e avrebbe poi sostenuto che vi sono diversi problemi legati all’utilizzo da parte delle organizzazioni criminali delle monete virtuali per riciclare ingenti somme, con tanto di accreditamento di denaro su carte prepagate ai loro affiliati.
Sul fronte terrorismo avrebbe evidenziato l’attivismo di particolari realtà, anche imprenditoriali, con base in Oriente e poi è arrivato a quello che appare anche come un nodo politico con gli alleati di Governo, gli affari dei colossi asiatici, Cina in testa, nei cosiddetti asset strategici. Quella Cina vista come una grande minaccia in particolare dall’intelligence americana e con cui, nonostante le diverse perplessità espresse da Salvini per interventi in settori cruciali dell’economia italiana, Di Maio è alla fine riuscito a siglare le ormai note 29 intese, che comprendono anche lo sviluppo delle telecomunicazioni su cui l’Europa ha lanciato mille allarmi.
Ad agosto, durante la sua visita a Pechino, Tria aveva benedetto il rafforzamento della cooperazione tra Italia e Cina “in settori economici di reciproco interesse”. Via libera agli scambi nei campi della cultura, dell’istruzione e della ricerca scientifica, ma su quelli più delicati è diverso. Gli stessi Servizi, stando alla relazione presentata a febbraio al Parlamento, hanno definito fondamentale il contrasto alle campagne di spionaggio digitale, “gran parte delle quali verosimilmente riconducibili a gruppi ostili strutturati, contigui ad apparati governativi”. Per quanto riguarda Pechino hanno poi evidenziato l’esigenza di una “accorta tutela dei nostri asset strategici”. Ma gli accordi stipulati col presidente Xi Jinping sembravano aver messo tutti piuttosto d’accordo. Tria ha riaperto il caso. E il Copasir dal canto suo ha raccomandato al ministro di contribuire a rafforzare i rapporti con gli altri Paesi europei per uno scambio di informazioni utili a contrastare il cybercrimine.