Documenti, cartelle cliniche e perfino PC. Gli accertamenti sui fatti accaduti all’interno del Pio Alberto Trivulzio e in altre Residenze sanitarie assistenziali (Rsa, ndr) passano attraverso l’analisi degli atti e dei dispositivi acquisiti ieri dalla guardia di finanza nell’ambito della maxi inchiesta, sui decessi sospetti per covid-19, avviata dalla Procura di Milano. Un blitz, quello delle fiamme gialle, che era nell’aria da giorni e che ha interessato oltre al Trivulzio, il più grande polo geriatrico italiano nonché il quarto per grandezza in tutta Europa, anche le strutture Sacra Famiglia di Cesano Boscone e una residenza di Settimo Milanese.
L’operazione, la prima di quella che potrebbe essere una lunga serie, è stata coordinata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e da un pool di pm specializzati in materia di salute pubblica e ha nel mirino numerose strutture sanitarie della Lombardia. Un fascicolo in cui è indagato il direttore generale dell’istituto Giuseppe Calicchio, destinatario di un’avviso di garanzia, e che in queste ore si arricchisce di altri nomi di vertici di altre residenze sanitarie assistenziali in cui si sono verificati contagi e sono morti pazienti. Tra queste le Rsa dei quartieri milanesi di Affori, Corvetto e Lambrate. Si tratta di iscrizioni che vengono definite “dovute” perché permettono agli inquirenti di procedere, eventualmente, alle perquisizioni come già avvenuto al Trivulzio. Non solo. Nella stessa indagine risultano Iscritti nel registro degli indagati anche gli istituti per la legge sulla responsabilità degli enti.
DOPPIO BINARIO. Questa complessa inchiesta si muove su un doppio binario. Da un lato c’è la volontà di capire come sono andate realmente le cose nelle case di riposo, in particolare se sono state prese tutte le necessarie precauzioni, e se l’epidemia potesse essere se non proprio evitata almeno limitata. Non meno importante, però, sono gli accertamenti sugli effetti della delibera regionale dell’8 marzo che dava la possibilità alla strutture, su base volontaria e in cambio del pagamento di una retta da 150 euro al giorno da parte delle casse regionali, di ospitare pazienti Covid dimessi dagli ospedali.
Un provvedimento da parte della giunta del presidente Attilio Fontana che era stato deciso perché era “necessario liberare rapidamente i posti letto degli ospedali per acuti (terapie intensive, sub intensive, malattie infettive, pneumologia, degenze ordinare)”. È bene specificare, però, che la Regione in quello stesso atto ha disposto che quei pazienti positivi dovessero essere accolti nelle rsa in strutture separate rispetto a quelle in cui sono ospitati gli anziani. Un punto, questo, che i magistrati sospettano possa essere stato preso sotto gamba dai vertici di diverse strutture e su cui si concentrano i maggiori sforzi investigativi.
L’ECATOMBE. Quel che è certo è che qualcosa in moltissime rsa è andato storto come testimoniano i dati, a dir poco spaventosi, diffusi ieri dall’Istituto superiore della sanità. Secondo l’Iss, nelle residenze per anziani di tutta la Lombardia i decessi sono stati addirittura 1.822. Nel dettaglio tra il Pio Albergo Trivulzio e l’istituto Don Gnocchi, sempre di Milano e anch’esso nel mirino dei pm, dall’inizio della pandemia sono morti circa trecento ospiti con sintomi compatibili con il temibile covid-19. Troppi casi per non far sorgere dubbi nei magistrati che, infatti, hanno deciso di sequestrare anche la documentazione relativa ai tamponi, in verità pochi quelli effettuati nelle Rsa su anziani e operatori, oltre alle disposizioni interne sull’uso delle mascherine.