Non solo è già di per sé uno dei Paesi più vecchi del mondo. Ma ora la situazione rischia pure di peggiorare da qui ai prossimi trent’anni. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Preventing Ageing Unequally, l’Italia si avvia infatti verso un invecchiamento della popolazione sempre più rapido e con sempre maggiori disparità. I 38 ultra-65enni ogni 100 persone tra i 20 e i 64 anni di oggi (erano “solo” 23 nel 1980), nel 2050 lieviteranno a 74 ogni 100. Il che significa che il Belpaese sarà il terzo Paese più vecchio dell’Ocse dopo Giappone (78 ultra-65enni su 100) e Spagna (76).
I numeri – L’Ocse dà perciò massima importanza alla promozione e alla partecipazione dei lavoratori più anziani. Già adesso si assiste a un miglioramento in questa direzione, ma non è del tutto chiaro se il trend continuerà, considerando pure il dissestato cammino occupazionale dei giovani. In Italia, come noto, in termini economici da trent’anni a questa parte i giovani hanno perso sempre più terreno rispetto alle generazioni più “vecchie”, trovandosi maggiormente in difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e svolgendo con sempre maggiore frequenza lavori atipici. L’andamento è evidente nel tasso di occupazione, che per i 55-64enni ha visto un incremento maggiore tra il 2000 e il 2016 (più 23 punti) rispetto ai lavoratori tra i 25 e i 54 anni (più un punto) e soprattutto rispetto ai giovani, la cui occupazione ha fatto segnare addirittura una retromarcia (meno 11 punti). Da metà degli Anni ’80, oltretutto, il reddito della popolazione tra 60 e 64 anni è cresciuto del 25 per cento in più rispetto a quello della fascia d’età 30-34anni, mentre la media Ocse è di un aumento “limitato” al 13 per cento. Il tasso di povertà è schizzato verso l’alto per i giovani diminuendo al tempo stesso per gli anziani.
Fosco futuro – Sempre in base ai dati dell’organizzazione con sede a Parigi – inoltre – tra la metà degli Anni ’80 e il 2014, in Italia il tasso di povertà è aumentato di 3,2 punti in media contro i 2,6 dell’area Ocse, ma il dato riflette un aumento di circa 7 punti per i giovani fino a 25 anni e un calo di un punto per i 61-65enni e di meno 9 punti e mezzo per i 66-75 anni (la media è di meno 2,5 punti). Cinque anni fa, il tasso di povertà dei giovani era del 16 per cento e del 9 per cento circa per gli anziani. Considerando che le varie riforme previdenziali hanno reso più stretta la relazione tra i guadagni nel corso della vita lavorativa e l’assegno pensionistico, le disparità salariali si traducono inoltre in disparità nelle pensioni e anche in questo caso l’effetto è più pronunciato in Italia che altrove. Infatti, in media nell’Ocse la disparità salariale si “travasa” per due terzi nella pensione, ma in Italia il trasferimento è quasi totale essendo pari al 95 per cento, uno dei più alti dell’intera Ocse. Numeri certamente poco edificanti che pongono molti interrogativi sul futuro di un Paese già in affanno.