Se il governo di Giorgia Meloni non troverà un accordo con quello francese, a Natale del 2025 Emmanuel Macron farà un bel regalo radioattivo al nostro Paese: ci manderà, infatti, qualche tonnellata di scorie altamente radioattive, tra queste il Plutonio weapon grade, cioè adatto alla fabbricazione di bombe atomiche, e Uranio fissile, nuovo carburante per centrali nucleari.
Nel 2025 scadrà l’accordo con Parigi ma l’Italia difficilmente avrà già realizzato il sito di stoccaggio per le scorie radioattive
Cosa se ne farà l’Italia di altre scorie radioattive, tra le quali il temibile Plutonio, un elemento che resterà altamente radioattivo per 2.500 anni e che nessuno sa ancora come sistemare in sicurezza, in aggiunta ai 32mila metri cubi di rifiuti atomici ereditati dalla stagione nucleare degli anni ‘70 e a quelli derivanti dai prodotti dall’industria e dal sistema sanitario (inventario ISIN aggiornato al 31 dicembre 2022, nda)? E a cosa serve avere dell’Uranio fissile, elemento altamente pericoloso, se non hai centrali nucleari attive? In realtà non si tratta di un regalo ma della restituzione di quello che resta di 222 tonnellate di barre nucleari esauste da più di trent’anni affogate nelle vecchie piscine dei nostri impianti atomici chiusi con il referendum “no nuke” del 1987.
Nel 2004 il governo di Silvio Berlusconi pensò che visto che nessun territorio italiano voleva avere in casa quel materiale, la cosa migliore era di mandarlo all’estero. Una decisione che nel 2006 il governo di Romano Prodi fece propria spedendo quelle barre in Francia. Ma se le direttive europee vietano l’esportazione dei rifiuti radioattivi, come ha fatto l’Italia ha mandare il suo combustibile nucleare in Francia? Perché quelle barre piene di pasticche di Uranio sono certamente un elemento radioattivo, ma al contrario delle scorie, è un elemento riciclabile. Nessuno lo dice ma solo il 10 per cento dell’Uranio viene bruciato durante la reazione nucleare. Il restante 80 per cento si può recuperare attraverso un’operazione costosa, pericolosa e inquinante chiamata “riprocessamento” che in Europa viene fatta solo dalla Francia.
Il contratto con la Francia non è stato rispettato
Abbiamo chiesto a Orano, l’azienda francese che sta riprocessando il nostro materiale nucleare, informazioni sul contratto in essere con l’Italia. L’azienda ci ha confermato che come da contratto sta riciclando 222 tonnelate di Uranio e Plutonio, aggiungendo che il rientro delle scorie radioattive vetrificate è fissato per il 31 dicembre 2025. Inoltre Orano ha spiegato che l’intera operazione è costata 255 milioni di euro (soldi versati dagli italiani grazie a una tassa nucleare che grava sulla bolletta elettrica dal 2000, ndr) e si è vista costretta a bloccare l’invio di ulteriori barre nel suo territorio, lasciandone in Italia ben 13 tonnellate, in quanto il nostro Paese non ha comunicato alla Francia – entro il 2018 – il sito dove sarà costruito il deposito unico nazionale. Insomma si mandano via le barre nucleari spendendo centinaia di milioni di euro per vederle ritornare dopo 20 anni sotto forma di scorie radioattive?
Orano è stata chiara: la legge francese vieta che il materiale nucleare italiano resti in Francia oltre il tempo dell’accordo. Sempre Orano aggiunge che è stato già proposto a Sogin, l’azienda statale che ha il compito di smantellare i vecchi impianti nucleari italiani e che è il braccio del governo per questo accordo, di adeguare le disposizioni contrattuali nel caso in cui non fosse possibile ottenere un rientro entro la fine del 2025 con “un accordo riservato che non può essere divulgato”. È essenziale in ogni caso, ribadisce l’azienda francese, un confronto tra i due governi “sul modo di far fronte alla situazione in atto”.
Del resto se le leggi fanno fede, allora la situazione è oltremodo chiara: la Francia non può tenersi le nostre scorie, né tantomeno l’Uranio e il Plutonio recuperati. E per le norme europee quelle scorie non possono essere mandate in altri paesi. Quindi qualunque accordo si troverà tra i due governi è chiaro che se l’Uranio può essere rivenduto, le scorie radioattive devono per forza rientrare in Italia. Ma se a quel punto il famoso deposito non sarà pronto, è possibile che quegli stessi territori del nord che nel 2010 hanno applaudito alla partenza delle barre diventino la destinazione di quelle stesse scorie. L’Italia si fa sempre riconoscere! È bene ribadire che nel 2018, come da contratto, il nostro Paese doveva comunicare alla Francia dove avrebbe costruito il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Ma si è scelto il silenzio assoluto. Così la Francia ha bloccato l’ultima spedizione e 13 tonnellate di barre radioattive restano tutt’ora affogate in un vecchio reattore di proprietà della Fiat e costruito negli anni ‘70 nel comprensorio di Saluggia, in Piemonte.
Dove finiranno le scorie? In Italia il sito di stoccaggio non esiste ancora
Insomma con le scorie radioattive è certo che torneranno in patria anche l’Uranio e il Plutonio. Ma se per il nostro Paese si tratta di un dramma, Orano spiega che in realtà l’Uranio è un combustibile che può essere riutilizzato “per produrre energia elettrica a basse emissioni di carbonio per il mercato francese ed europeo”. Insomma se saputo sfruttare, può diventare addirittura una risorsa. Ma c’è da scommettere che l’Italia preferirà vendere tutto, forse alla Francia stessa che saprà come far fruttare il tutto.
Certo qualcuno potrebbe obiettare che l’Uranio può essere venduto ma il costo del suo recupero è talmente alto che all’industria nucleare costa meno ‘fabbricare’ nuovo Uranio fissile invece che comprare quello “riciclato”. Eppure resta il fatto che nulla vieta di venderlo. Al contrario il Plutonio non lo vuole nessuno perché non serve ad alimentare i reattori e perciò dovremo trovare un posto sicuro dove tenerlo, avendo bene in mente che è un elemento adatto a fabbricare bombe atomiche. Parliamo di scorie che sono talmente radioattive da necessitare di essere inglobate in una matrice di un particolare vetro fuso a migliaia di gradi, per poi essere inserite all’interno degli stessi contenitori (detti cask, ndr) che hanno portato in Francia le barre.
A caccia del deposito
A questo punto è lecito chiedersi come mai tutto a un tratto il tema del deposito sia diventato una priorità per il governo. E come mai dopo anni di attesa è stata pubblicata la CNAI, la Cartina Nazionale delle Areee Idonee. Esattamente come è sacrosanto domandarsi perché si è addirittura scelto di aprire la ricerca di un sito idoneo alle autocandidature che di fatto rendono inutile una procedura andata avanti per decenni. Tutte domande a cui, molto banalmente, l’unica risposta possibile sembra essere l’evidenza che il 2025 è già alle porte e non c’è tempo da perdere. Che sia necessario costruire il deposito nazionale in tempi molto stretti lo si capisce anche guardando al vecchio reattore di proprietà della Fiat, Avogadro, dove quelle 13 tonnellate radiaottive sono ancora parcheggiate in attesa di essere inviate in Francia.
Uranio e Plutonio stoccati in una struttura che da anni non ha più le qualifiche per tenere quel materiale e che resta lì, grazie a infinite proroghe, solo perché non sappiamo dove altro metterlo. Un deposito temporaneo per il quale nel 2022 la stessa l’ISIN “a fronte di alcune criticità emerse sulle superfici interne della piscina di stoccaggio” ha chiesto ai proprietari “la predisposizione di un piano di intervento manutentivo dalla cui attuazione dipende una piena operabilità dell’impianto per quanto attiene alle operazioni di movimentazione del combustibile stoccato”. Peccato che a oggi sullo stato in cui si trovano quelle barre regna ancora il silenzio più assoluto.
Le domande a Sogin
Abbiamo chiesto a Sogin se hanno già deciso cosa fare per l’Uranio e il Plutonio riciclato, se sono già state prese decisioni riguardo alla data di rientro delle scorie in Italia e se in assenza di un deposito nazionale il materiale tornerà da dove è partito. Tutte domande a cui l’azienda ha assicurato che ci farà pervenire una risposta nei prossimi giorni.