Dopo tanti no da parte dei vecchi notabili del partito, da Walter Veltroni a Romano Prodi, e mentre Matteo Renzi fa ricorso all’ennesimo tatticismo con la sua Italia Viva parlando di libertà di voto, il fronte dei favorevoli al taglia-poltrone si fa sempre più ampio nello stesso Pd. E per caldeggiare il sì al referendum sulla riforma i dem hanno anche organizzato un evento dal tema inequivocabile: “Le ragioni dei democratici per il sì”. Il via libera definitivo per il sì al referendum è atteso dal Pd nei prossimi giorni, al termine del dibattito sul tema in direzione nazionale.
Ai tempi dell’alleanza giallorossa i dem hanno cambiato posizione sul taglia-poltrone, hanno votato favorevolmente alla riforma caldeggiata dal Movimento 5 Stelle, con l’impegno dei pentastellati a cambiare la legge elettorale. I ritardi sulla modifica a quest’ultima norma hanno così riacceso i mal di pancia sul referendum. Ma ormai il fronte dei favorevoli ad approvare la riduzione di deputati e senatori è ampio. “Attendo la direzione nazionale e in quella sede sosterrò la posizione del sì. Mi auguro che emerga una posizione unitaria”, ha affermato ieri il vicesegretario nazionale Andrea Orlando.
“Sarebbe tuttavia importante – ha poi aggiunto – che prima della consultazione referendaria arrivino segnali che vanno nella direzione di una legge elettorale che garantisca la rappresentanza e in questo senso mi pare che qualcosa si è visto anche se non è ancora abbastanza”. “Voterò sì ma contemporaneamente non mi nascondo che accanto a quel sì, che vuole essere una risposta alla riduzione dei costi della politica, dovremo trovare soluzioni ad esempio per rappresentare meglio i territori”, ha dichiarato da Firenze il candidato governatore del centrosinistra per la Toscana, Eugenio Giani.
L’INIZIATIVA. Per sostenere il taglia-poltrone il nuovo Pd è poi andato anche oltre organizzando appunto un evento, presso la sala Berlinguer della Camera, per il prossimo 2 settembre, introdotto dal costituzionalista Stefano Ceccanti e in cui interverranno Brenda Barnini, Elisabetta Gualmini, Franco Mirabelli, Dario Parrini (nella foto), Andrea Romano e Giorgio Tonini, con le conclusioni affidate all’ex ministro Maurizio Martina. Un appuntamento di cui molto ha anticipato lo stesso Parrini, presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, rispondendo a Luciano Violante schieratosi per il no. L’esponente dem ha spiegato che il taglia-poltrone è un “primo passo di un cammino finalizzato a rafforzare l’autorevolezza e la funzionalità della nostra democrazia parlamentare”.
Ai sei argomenti di Violante per il no, il presidente della Commissione affari costituzionali di Palazzo Madama ha così indicato altrettante ragioni per il sì, il Senato funzionerà regolarmente con dei “semplici adeguamenti regolamentari, come le commissioni permanenti che senza danno alcuno potrebbero diminuire da 14 a 10 e la diminuzione dei membri della giunta per il regolamento, della giunta per le elezioni e delle bicamerali “permanenti”, oltre ad analoghi mutamenti sui requisiti numerici per formare un gruppo o per permettere alle minoranze di esercitare alcune loro prerogative. “Ben 125 assemblee politiche su 193 nel mondo, e 33 su 48 in Europa, hanno 200 o meno componenti”, ha sottolineato Parrini, ricordando anche che un ddl costituzionale del 4 novembre 2008, con primi firmatari Luigi Zanda e Anna Finocchiaro, proponeva una Camera dei deputati di 400 membri e un Senato di 200, senza prevedere nessun altro cambiamento.
Altre ragioni per il sì sono poi indicate nel fatto che attualmente nel processo legislativo il Parlamento italiano ha un ruolo meno centrale, nella scomparsa del vincolo di mandato e del referendum propositivo senza limiti di materia proposti inizialmente, nella strada già indicata dal Pd per le altre riforme, come il cancellierato, con l’introduzione ad esempio della sfiducia costruttiva e del potere del primo ministro di proporre al capo dello stato sia la nomina che la revoca dei ministri, nella maggiore efficienza ed efficacia del lavoro del Parlamento con la riduzione del numero dei parlamentari, anche in un quadro di permanenza del bicameralismo paritario, e nella spinta riformista e di merito del sì anziché di quella populista. “Il vero regalo al populismo non è dire sì al referendum – ha concluso Parrini – ma contraddire una scelta che in ultima lettura il Parlamento ha approvato col voto favorevole del 97 per cento dei presenti”.