Nuovo colpo alla ‘ndrangheta. Questa mattina, in varie province, i Carabinieri di Gioia Tauro, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia dalla Procura di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di applicazione di misure cautelari personali, emesse dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di 49 soggetti – 34 in carcere e 15 agli arresti domiciliari.
Nuovo colpo alla ‘ndrangheta. I Carabinieri hanno compiuto 49 arresti decapitando la cosca calabrese dei Piromalli
Le indagini, attraverso le quali sono stati individuati gli assetti funzionali della cosca Piromalli – di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l’incidenza territoriale nel controllo della Piana – hanno consentito di attribuire agli indagati responsabilità in ordine ai reati di “associazione di tipo mafioso”, “concorso esterno in associazione di tipo mafioso”, “porto e detenzione di armi comuni e da guerra”; “estorsioni”; “danneggiamento seguito da incendio”; “turbata libertà degli incanti”; “importazione internazionale di sostanze stupefacenti”.
Le indagini hanno fatto luce sulla struttura organizzativa della cosca dominante nella Piana di Gioia Tauro
I provvedimenti restrittivi, hanno riferito i Carabinieri dando conto dell’operazione contro la ‘ndrangheta, “seguono una complessa attività investigativa, condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro tra il 2020 e il 2021”. “L’operazione – scrivono -, indicata in maniera convenzionale con il nome di “Hybris” (a sottolineare la tracotanza che caratterizza l’imposizione della vis mafiosa), partendo dall’osservazione del territorio, si è posta l’obiettivo di incidere sulla struttura organizzativa della cosca dominante nella Piana”.
Oltre alle misure personali il provvedimento dell’Autorità giudiziaria “ha riguardato anche il sequestro preventivo di una ditta (con il relativo compendio aziendale), attiva nel settore della trasformazione dei prodotti agricoli, e di due proprietà immobiliari utilizzate per agevolare le attività criminali della cosca e che rappresentano il profitto delle medesime attività delinquenziali, per un valore complessivo stimato in circa 1 milione di euro”.
L’indagine “cattura le dinamiche della cosca nei mesi antecedenti alla scarcerazione di Giuseppe Piromalli, dopo oltre un ventennio di carcerazione. In questo senso, viene registrato il fervore dei consociati per recuperare una unità monolitica della cosca (segnata da personalismi quali la mancata condivisione degli utili), chiudendo un periodo ritenuto di transizione”.
“L’intento dei luogotenenti dei Piromalli – per come restituito dalle intercettazioni – appare quello di ripristinare una partnership con il clan Molé, che avrebbe reso più semplice il raggiungimento degli obiettivi strategici di natura illecita. Il punto di incidenza che segna il rinnovato dialogo muove dal controllo del mercato ittico di Gioia Tauro. La ricostruzione dell’incendio di un peschereccio in un cantiere navale alla Tonnara di Palmi nell’ottobre 2020 ha permesso di dimostrare come l’evento fosse stato pianificato dalla cosca Molé, perché il proprietario dell’imbarcazione non aveva conferito il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro, disattendendo le imposizioni mafiose relative alla gestione dell’intero settore”.
“La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima, invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli. Una richiesta che dietro lauti compensi è stata concessa dai vertici della consorteria in disamina. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali di Gioia Tauro, il cui punto apicale è stato rappresentato da un summit effettuato all’interno dell’area cimiteriale del centro più importante della “Piana””.
La cosca Piromalli aveva un controllo minuzioso del territorio
L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ha “restituito un quadro chiaro sul controllo minuzioso del territorio effettuato dai componenti della cosca Piromalli”. “Un controllo effettuato in maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica. Conseguentemente, i proventi del malaffare venivano ripartiti nella parte sostanziale verso la “casa madre”, le cui donne ricevano parte dei profitti estorsivi. Il monitoraggio ha restituito l’immagine di una “‘ndrangheta economica”, sempre alla cerca del profitto, ma anche saldamente legata ai simboli ed alle tradizioni criminali”.
Tra le forme di aggressione del territorio gli esponenti della cosca attuavano anche un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette “Guardianie” (estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentate della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle culture). Capacità di pervadere il territorio dimostrata anche dalla disponibilità di armi affidate a custodi fidati: una scelta, quella di parcellizzare i luoghi di detenzione delle armi, oculata per quel che concerne pronta disponibilità sul territorio e schermatura da sequestri imponenti da parte delle forze dell’ordine.
Di contro, gli investigatori, con l’individuazione dei soggetti deputati a custodire le armi, sono riusciti a comprovare il loro ruolo nell’aggregazione di mafia individuata. Un’altra manifestazione criminale rilevata durante le indagini ha riguardato l’imposizione delle assunzioni a beneficio degli appartenenti alla cosca. In particolare, è stato documentato come un imprenditore sia stato costretto ad assumere un appartenente al sodalizio in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull’apporto lavorativo dei malavitosi assunti.
Si sono evidenziati alcuni equilibri criminali che regolavano la gestione immobiliare della zona industriale prospiciente al porto di Gioia Tauro. Un atteggiamento incurante delle iniziative rivolte a regolamentare questo settore, considerato il principale volano che avrebbe dovuto contribuire a valorizzare la zona del “retroporto” di Gioia Tauro.
Beni “banditi all’incanto” verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare. In due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana. Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni.
In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull’intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse. Inoltre, in uno scenario di vita criminale, sono stati richiamati i rapporti tra gli esponenti della “mafia siciliana” e quelli della “‘ndrangheta calabrese”, disegnando uno scenario storico lungo oltre trent’anni e che apre un ulteriore scorcio sulle alleanze tra le diverse matrici mafiose nei primi anni novanta. Un settore criminale ricorrente in ogni attività di contrasto alle maggiori consorterie della ‘ndrangheta, risulta essere quello dei traffici di grosse partite di stupefacente, soprattutto di “cocaina”.
Un appartenente alla cosca si era impegnato a “importare” oltre mezza tonnellata di cocaina
Il mercato degli stupefacenti ha modificato nettamente l’approccio criminale: dalla contrapposizione alla federazione delle cosche per effettuare l’importazione di enormi quantitativi di droghe. Il sistema di collaborazione tra le diverse realtà della ‘ndrangheta garantisce minori spese e notevoli facilitazioni, oltre all’intuibile riduzione di quello che potremmo definire come il “rischio d’impresa” in caso di sequestri. In questo ambito un appartenente alla cosca si era impegnato per “importare, in due differenti circostanze, 298 kg e 216 Kg. di cocaina (la prima sequestrata presso il porto di Santos, la seconda al porto di Gioia Tauro, occultata in un container trasportato da una motonave proveniente dal Sud America).
Uno dei boss disse Sì alle stragi
Dalle indagini dei Carabinieri è emerso che il boss Pino Piromalli “aveva composto la ‘commissione’ costituitasi per decidere se la ‘ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana”. Poi il boss votò a favore delle stragi.
Agli arresti anche un sacerdote e un finanziere
Nell’ambito della stessa inchiesta è stata ipotizzata una “rivelazione del segreto d’ufficio” in favore degli appartenenti alla cosca Piromalli da parte di un appartenente alle Forze dell’Ordine, che ha posto in essere una condotta non compatibile con gli obblighi di riservatezza imposti dal proprio ruolo. Inoltre, tra le accuse rubricate, vi è anche quella afferente alle “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità Giudiziaria” della quale è chiamato a rispondere un sacerdote, al quale è stata contestata la “compiacenza” nel redigere dichiarazioni “di comodo”, che gli appartenenti al sodalizio potevano utilizzare per ottenere benefici e misure alternative alle pene.