di Vittorio Pezzuto
«Non voglio farvi perdere Sanremo. Avete domande?». E ancora: «Questa non è la rubrica della settimana enigmistica ‘Scopri le differenze’». E infine: «Se può fare un presidente del Consiglio uno come me…». Se il buongiorno per il Paese si vede dal pomeriggio inoltrato di ieri sera al Quirinale, aspettiamoci un premier battutista come neanche il Silvio Berlusconi dei bei tempi andati. In attesa di capire se il velocissimo software di Renzi riuscirà a girare a dovere sull’anchilosato hardware della macchina burocratica dello Stato, non resta che registrare la nascita dell’ennesimo governo non votato dagli italiani e soprattutto il varo di una squadra che sembra obbedire alle innanzitutto a potentissime lobby. Come giudicare altrimenti la scelta di Pier Carlo Padoan (ex direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale) all’Economia, di Federica Guidi (figlia di Guidalberto ed ex leader dei giovani di Confindustria) allo Sviluppo Economico e di Giuliano Poletti (presidente della Lega delle Cooperative) al Lavoro? Senza dimenticare la conferma alle Infrastrutture e Trasporti di Maurizio Lupi, esponente di peso di Comunione Liberazione.
Apparso un poco provato dalle due ore e mezza di colloquio serrato col capo dello Stato, Matteo Renzi ha letto con malcelata euforia questi e altri nomi, convinto che la composizione per genere (metà dei posti sono stati assegnati a donne) e per età media del suo esecutivo sia già un robusto successo. I nomi nuovi sono molti, nel tentativo di segnare la massima distanza possibile dalla fallimentare esperienza del team di Enrico Letta. Ad eccezione degli esponenti del Nuovo Centrodestra (Angelino Alfano al Viminale, Beatrice Lorenzin alla Salute e il citato Maurizio Lupi), di Dario Franceschini (che va alla Cultura) e di Andrea Orlando (che passa dall’Ambiente alla Giustizia), tutti gli altri designati sono alla loro prima esperienza ministeriale. Due di loro, come lo stesso Renzi, sono under 40: Marianna Madia alla Pubblica Amministrazione (speriamo sappia almeno dove si trova Palazzo Vidoni) e la telegenica Maria Elena Boschi alle Riforme e ai Rapporti con il Parlamento. E appena quarantenne è Federica Mogherini, neo ministro degli Esteri che pensiona le ambizioni di Emma Bonino. Altre donne in ruoli chiave sono Stefania Giannini, Federica Guidi, Roberta Pinotti (per la prima volta ministro ma già sottosegretario con Letta) e Maria Carmela Lanzetta, che vanno rispettivamente all’Istruzione, allo Sviluppo Economico, alla Difesa e agli Affari Regionali.
Agli amanti dei dettagli va ricordato come Renzi si sia precipitato da Napolitano con un giorno di anticipo sul previsto. Urgenza di cominciare a lavorare per risollevare il Paese o fretta di chiudere una partita estenuante con gli avidi cespugli che circondano questo quasi monocolore Pd? Lo capiremo prestissimo.
Intanto il premier incaricato ieri è caduto in piccolo lapsus. Ha detto infatti di sperare di meritarsi la fiducia del presidente Napolitano e quella dei milioni di italiani che guardano con flebile speranza al suo tentativo di portare il Paese fuori dalle secche. Si è dimenticato che la fiducia che conta è innanzitutto quella che dovrà racimolare in Parlamento all’inizio della prossima settimana. All’interno del Partito democratico non va sottovalutata l’ostilità della pattuglia legata a Pippo Civati, che sembra intenzionata a negare il sostegno al governo del suo segretario. «Sarebbe una decisione molto gravosa» ha osservato il leader della minoranza interna Gianni Cuperlo. I Popolari per l’Italia sono invece letteralmente furibondi per la «vergognosa» esclusione dei loro rappresentanti dalle poltrone ministeriali. Frattaglie parlamentari, si dirà. Sta di fatto che ieri Silvio Berlusconi aveva buon gioco nel sostenere che Renzi «ha la maggioranza nel suo partito ma non ha la maggioranza in Parlamento. Molti deputati Pd sono bersaniani e dalemiani». Fiducia a rischio? Non sembra crederci nemmeno lui, dal momento che subito dopo ha aggiunto: «Spero che in questi quattro anni si possano fare le riforme». E forse è stata questa la battuta più riuscita della giornata. È infatti assai improbabile che questa legislatura possa arrivare alla sua scadenza naturale.