Dario Nardella, candidato del Pd alle europee, perché dopo dieci anni da sindaco ha scelto proprio la corsa al Parlamento europeo?
“L’esperienza di sindaco e presidente di Eurocities (che rappresenta le 200 maggiori città europee) mi ha indotto a impegnarmi per le istituzioni europee. Da sindaco ho capito quanto l’Europa sia fondamentale per la vita dei cittadini. Dal trasporto pubblico ai servizi per i bambini, dalle politiche sociali alla promozione culturale, non c’è settore nel quale l’Europa non sia decisiva”.
Lei è candidato nella circoscrizione Centro, in cui la concorrenza interna al partito è molto forte: il Pd con queste liste rischia di far fuori diversi esponenti di spicco? Si sta consumando, in questa circoscrizione più che altrove, una lotta tra correnti?
“Il Pd ha una lista competitiva proprio perché abbiamo tanti candidati conosciuti, competenti e stimati. Non c’è alcuna lotta tra correnti ma piuttosto un lavoro di squadra che si rafforza nella sana competizione. L’obiettivo primario è far vincere il Pd, più voti prende la lista e più possibilità ci sono per i candidati”.
Poi c’è la candidatura di Schlein: soprattutto al Centro rischia di penalizzare altre donne e ridurre la rappresentanza femminile del Pd a Bruxelles?
“La candidatura di Schlein è un valore aggiunto della lista. Non penalizzerà le donne se il voto dei nostri elettori sarà equilibrato per genere. La stessa Elly ha chiarito che, nel caso in cui dovesse essere eletta, lascerà il posto a chi sarà dopo di lei. E potrebbe essere benissimo una donna”.
Il Pd si presenta a queste elezioni con candidati che rappresentano due diverse anime: quella pacifista (come per Strada e Tarquinio) e quella che da sempre segue il partito, per esempio con l’invio delle armi all’Ucraina: come possono queste posizioni tenersi insieme all’Europarlamento?
“Il Pd ha una posizione ufficiale: il sostegno all’Ucraina che ha il diritto di difendersi da un’aggressione contraria a tutte le regole internazionali, voluta da Putin. Poi le sensibilità di ciascuno sono certamente una ricchezza. Siamo un partito polifonico: le diverse sensibilità ci permettono di conquistare un elettorato vasto e articolato”.
Non teme che l’Ue in questi ultimi mesi stia abbandonando il Green deal per puntare invece sempre più su un’economia di guerra?
“Io sono stato relatore al Comitato delle Regioni su Ukraine Facility, il piano da 50 miliardi per la ricostruzione delle città ucraine. E dalla mia esperienza constato che l’Ue si è concentrata troppo sull’aspetto militare e meno su quello diplomatico. Il motivo è che l’Ue non ha una vera politica estera, non parla con una posizione comune sulle grandi questioni internazionali. È fondamentale portare avanti la battaglia di David Sassoli per una vera politica estera europea e un esercito comune europeo. Così la spesa militare nazionale diminuirebbe a favore di una spesa europea, più razionalizzata e più efficace. Il Green Deal è un tema a parte, su cui ci vuole un impegno serio per i prossimi anni affinché la transizione green sia anche una transizione sociale. I costi della transizione green non si devono scaricare sulle famiglie e sulle imprese più deboli, ripartendoli in proporzione a chi può sostenerli meglio rispetto a chi è meno abbiente”.
In caso di elezione, quale sarà la sua priorità in Ue e quale il primo provvedimento da portare in Parlamento?
“Se eletto porterò in Parlamento la richiesta di una direttiva comunitaria per regolare la vita dei centri storici delle nostre città. C’è troppa deregulation e il boom degli affitti turistici brevi ha drogato il mercato immobiliare e degli affitti. Non solo, occorre trovare un nuovo equilibrio tra il principio della libertà della concorrenza e quello della tutela delle attività commerciali e dei servizi nelle aree urbane”.
Dal salario minimo ai migranti e ai diritti civili, il Pd può portare in Europa battaglie ignorate completamente in Italia dal governo Meloni per far cambiare linea in qualche modo all’esecutivo?
“Certo, l’Ue può incidere sulla vita dei paesi membri e il Pd, se sarà il primo partito nella famiglia dei Socialisti e democratici, potrà influire molto sulle decisioni per correggere le storture del governo Meloni a livello nazionale. Ad esempio sugli affitti turistici, sulla direttiva Bolkestein, sulle politiche per il lavoro, su nuovi fondi europei per imprese e infrastrutture. Ancor di più, possiamo intervenire sulle politiche per l’immigrazione. Il governo di destra fa solo propaganda, usa l’immigrazione come spauracchio per ottenere consensi. Volevano chiudere i porti e non li hanno chiusi, avevano promesso rimpatri che sono ancora fermi al 12% degli irregolari. Volevano risolvere il problema della domanda di manodopera straniera da parte delle imprese ma il click day è stato un mezzo fallimento. Servono invece azioni concrete come gli strumenti di regolarizzazione degli immigrati per l’inserimento nel mondo del lavoro, una vera politica comune sui rimpatri degli irregolari che delinquono, una cooperazione allo sviluppo strutturale con risorse economiche decisamente superiori a quelle garantite fino ad ora”.
A Firenze il predominio del centrosinistra mai come stavolta sembra a rischio: crede che abbiate sbagliato qualcosa e che si potevano fare scelte diverse per essere certi di evitare una vittoria della destra?
“C’è un alto numero di candidati sindaco che porta a una frammentazione del voto. Un sondaggio di pochi giorni fa mostra che il 67% dei fiorentini è contento del lavoro dell’amministrazione uscente. La nostra candidata Sara Funaro è stata al mio fianco in questi dieci anni e ha contribuito al successo dell’amministrazione della città, con la trasformazione di tante aree urbane, il miglioramento dei servizi, la crescita economica. Ora è giusto che cominci un nuovo ciclo con colei che può essere la prima donna sindaco della storia di Firenze. Intorno a Funaro si è formata una coalizione larga che va da Azione, +Europa fino a Sinistra Italiana e Verdi. Dall’altro lato c’è la destra arrogante e inadeguata di Salvini e Donzelli che spinge il candidato Schmidt, che si è fatto nominare prima al museo di Capodimonte a Napoli e poi si è candidato a Firenze senza dimettersi dall’incarico ministeriale e rassicurando i napoletani che sarebbe poi subito tornato in caso di sconfitta. Non mi sembrano le parole di chi pensa di vincere ma soprattutto di chi ama davvero la città di Firenze”.