di Maria Giovanna Maglie
Non sarà un governo a tutti i costi, e se non fosse per il peso delle regole, quasi delle minacce, imposte nell’accettazione del secondo mandato da Giorgio Napolitano, già ieri sera sul tardi il sentiero delle possibilità di Enrico Letta sarebbe apparso stretto, troppo stretto per farcela a portare al Quirinale e poi alla fiducia delle Camere un governo non solo balneare. L’atmosfera è abbastanza complicata e pesante, il ruolo del presidente della Repubblica ormai così scopertamente presidenziale, che ieri Napolitano ha apertamente rimbrottato anche i giornalisti, rei di fare confusione. Ma c’è poco da fare confusione.
E nel dover indicare il giovane Letta invece dell’anziano Giuliano Amato, come Napolitano, al pari e ancora di più di Silvio Berlusconi, avrebbe preferito, ci sono già tutti gli estremi della difficoltà. Intanto perché la rinuncia ad Amato viene considerata come il primo cedimento del presidente, poi perché Letta è pur sempre espressione del partito che ha addirittura cavalcato la proposta di legge per rendere il Cav ineleggibile, infine perché Berlusconi si sente forte di una possibile grande affermazione elettorale se si dovesse presto tornare alle urne; convinzione condivisa con l’avversario Matteo Renzi, il quale ha fatto sapere che non farà mai il ministro di un governo di transizione. C’è da guardare perciò con più di qualche preoccupazione al tentativo di formare un governo, che più che non a tutti i costi rischia di essere a costo proibitivo.
Napolitano tra i diktat dei giorni scorsi ha lasciato anche trapelare che pur di non sciogliere le Camere è pronto a dimettersi, ma se tra le priorità di un presidente appena rieletto c’è anche lo scioglimento, è difficile che si possa seriamente pensare di sottrarsi all’obbligo senza che il sospetto di eccesso di potere si palesi solidamente. Già siamo al limite, superarlo è un passo.
Non a caso in volo verso gli Stati Uniti, in viaggio di risarcimento forte di immagine all’inaugurazione della Bush Library a Dallas, Silvio Berlusconi ha dettato una linea severa agli uomini del Pdl. Con Letta la matrice “politica” diventa ben più evidente, è il quarto uomo espressione di sinistra dopo Boldrini, Grasso e lo stesso Napolitano, perciò se Letta e i suoi non accettano nella squadra di governo i nomi più pesanti e soprattutto indicati direttamente dal Pdl, l’ordine è quello di far saltare le trattative, a costo di sfidare il Quirinale per andare al voto. In tutti i sondaggi infatti il vantaggio del centrodestra è vistoso sia sul centrosinistra sia sul Movimento 5 Stelle. Dall’altra parte ci sono i veti, anzi le vere e proprie convulsioni, del Pd, arrivato disfatto e umiliato alla designazione di Letta che è il vice segretario, il vice di quello stesso Pierluigi Bersani che un governo di larghe intese si è rifiutato di farlo, che ha cercato ostinatamente un accordo impossibile con la sinistra del partito e dell’alleanza, e con i grillini, che ha, in nome di una ricerca di accordo trasformatosi in sterile subalternità, sacrificato la nomina di un nuovo presidente, e alla fine perso il posto di segretario e le aspirazioni a guidare un governo.
A complicare le cose, Enrico Letta giustificatamente vorrebbe provare a fare da solo, a scrollarsi tutte le pesanti tutele, e non vorrebbe né vecchi ministri tecnici del governo Monti né quelli del precedente governo politico di Berlusconi. Letta insiste per volti politici nuovi, dell’uno e dell’altro schieramento, oppure per nuovi tecnici non “compromessi” dalla parentesi dei Professori, e ha qualche ritrosia anche su una immissione massiccia dei cosiddetti saggi nominati nell’interregno da Napolitano. Berlusconi vuole quattro ministri almeno sui dodici ipotizzati, e circolano nomi precisi, dal vice segretario Angelino Alfano in ruolo da definire, da Renato Schifani alla Difesa, a Gaetano Quagliariello alle Riforme, fino al falco Renato Brunetta e a Maria Stella Gelmini. Nome autorevole è Fabrizio Cicchitto, che l’ex premier vorrebbe come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi.
“Se voi mettete in campo la vostra prima fila – questo il ragionamento del Pdl – noi mettiamo la nostra”,e la rosa dei nomi è accompagnata a dichiarazioni dure sulle richieste di programma, in testa abolizione dell’Imu e agevolazioni fiscali ad aziende e famiglie. Alfano da anche voce a un sospetto tutto rivolto al partito democratico: “Abbiamo la netta impressione che il Pd un governo forte non voglia farlo, ma non possa dirlo”. Insomma, si teme l’effetto Marini due, un uomo e un governo imposto dal Pd, che costi sacrifici e perdite di consenso al Pdl, e venga pure impallinato dai dissenzienti impazziti dello stesso Pd. I quali dissenzienti non gradirebbero nomi come Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse, di Graziano Del Rio, sindaco pd di Reggio Emilia, del veterano e riconvertito garantista Luciano Violante. Tutto da vedere, qui i giochi cambiano in continuazione, con sprezzo del pericolo.