Elon Musk e Donald Trump: due ego smisurati a confronto in un’intervista che passerà alla storia come il trionfo del nulla. Poteva essere il momento della verità, invece è stato solo un lungo monologo trumpiano condito da qualche timido tentativo di Musk di sembrare un intervistatore.
Il ritardo tecnico: un presagio del vuoto a venire
Partiamo dall’inizio, o meglio, dal non-inizio. Quaranta minuti di ritardo per problemi tecnici. Il magnate della tecnologia che non riesce a far funzionare un collegamento video. Già questo la dice lunga sul livello dell’incontro. Ma il bello doveva ancora venire.
Trump, sopravvissuto miracolosamente a un tentativo di assassinio il mese scorso, parte subito in quarta con un fiume di parole su tutto ma soprattuto sul niente. Immigrazione, inflazione, ordine pubblico, agricoltura, dittatori vari ed eventuali, minaccia nucleare. Un potpourri di argomenti trattati con la profondità di un cucchiaino da caffè.
Musk prova timidamente a portare l’attenzione su temi scottanti come la censura, citando la lettera aperta di Thierry Breton, il “poliziotto digitale” dell’Ue. Ma Trump non abbocca. Preferisce lanciarsi in una tirata sul deficit commerciale con l’Europa. “Ci sfruttano”, tuona l’ex presidente, “non sono duri come la Cina, ma sono cattivi”. Insomma, la solita solfa.
E sull’Ucraina? Qui Trump si supera. Parte con il suo cavallo di battaglia sugli aiuti sproporzionati degli USA rispetto all’Europa. Ma invece di minacciare tagli, sembra quasi chiedere all’UE di aumentare il proprio contributo.
Ma il colpo di scena arriva quando Trump, dopo aver flirtato con l’idea di tagliare gli aiuti a Kiev, si lancia in un elogio di Zelensky. Lo stesso Zelensky che Trump aveva cercato di ricattare nel famigerato caso “Ucrainagate”. Ora è diventato “molto onorevole”.
E Putin? Trump ci tiene a far sapere che lo aveva avvertito di non invadere l’Ucraina. “Gli ho detto: non puoi farlo, Vladimir. Sarà una brutta giornata”. Peccato che Putin non l’abbia ascoltato. Ma Trump è convinto che con lui alla Casa Bianca, l’invasione non sarebbe mai avvenuta. Impossibile sapere perché.
Il monologo di Trump: parole senza sostanza
Il gran finale è degno di un film di serie B. Trump, in un impeto di galanteria fuori tempo massimo, paragona Kamala Harris a Melania Trump, definendola “bellissima come la più grande attrice di sempre”. Un complimento che sa di paternalismo e sessismo ma che nell’universo trumpiano passa per un gesto di magnanimità.
In tutto questo, Musk dov’era? Seduto di fronte a Trump, in un ruolo che oscillava tra lo spettatore passivo e il timido suggeritore. Il magnate di X, autoproclamatosi paladino della libertà di espressione, si è dimostrato incapace di porre domande incisive o di mettere in difficoltà il suo interlocutore.
Un confronto tra titani? No, un monologo autocelebrativo
Quello che doveva essere un confronto tra due titani dell’ego si è rivelato un monologo autocelebrativo di Trump, con Musk relegato al ruolo di comparsa. Un’occasione mancata per fare vera informazione, per mettere alle strette un candidato presidenziale su temi cruciali come la democrazia, i diritti civili, il cambiamento climatico. Invece abbiamo assistito a due ore di autopromozione, di retorica vuota, di affermazioni non verificate. Un trionfo della post-verità, dove i fatti sono optional e le sensazioni contano più della realtà.
E Musk? Ha dimostrato ancora una volta di essere più interessato al clamore che alla sostanza. La sua piattaforma, X, si conferma un megafono per voci estremiste e disinformazione, mascherato da baluardo della libertà di espressione. Trump e Musk, due giganti con i piedi d’argilla, hanno offerto uno spettacolo deprimente. Ma forse, in fondo, è proprio questo che volevano: far parlare di loro, a qualsiasi costo. In questo, almeno, sono riusciti perfettamente.