A rovinare la festa sono sempre i soliti noti: a poche ore dall’annuncio del piano da 500 miliardi, Germania e Francia si scontrano con i “rigoristi del nord”. A Olanda e Austria, a cui si sono accodati Danimarca e Svezia, non va proprio giù che le risorse del Recovery Fund vengano erogate ai Paesi e ai settori più colpiti dall’epidemia non sotto forma di prestito ma di sovvenzioni dirette, in sostanza i 500 miliardi sarebbero garantiti da tutti e 27 i Paesi membri dell’Ue e distribuiti in funzione della gravità della situazione di crisi. Quindi l’Italia, pur essendo stata finora un contribuente netto del budget europeo, potrebbe in teoria ricevere più soldi di quanti ne mette: avendone già intascati 100, avrà a fondo perduto la differenza.
Questo è il nodo centrale e innovativo della proposta perché consentirà da un lato di non incrementare i debiti pubblici degli Stati membri che ne usufruiranno e dall’altro di creare una prima forma di debito condiviso tra i membri dell’Ue. E, last but not least, è la prima volta che Francia e Germania si trovano d’accordo per finanziare il debito comune e le spese di bilancio della Ue. Un “passo storico”, così lo descrive il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, sottolineando che “si tratta di un risultato storico per i due paesi che lo hanno concordato ma anche per tutta l’Ue”, in piena sintonia con l’omologo tedesco Olaf Scholz che parla di “grande progresso” per l’Ue poiché “metterà in condizione l’Europa di uscire unita dalla crisi e anche a diventare più forte”.
Insomma, un cambio di passo notevole verso la coesione e la condivisione ma, ça va sans dire, totalmente osteggiato dagli intransigenti falchi del rigore. Con Kurz che ha fatto sapere immediatamente che la sua posizione e quella dell’Olanda sulla proposta del Recovery Fund rimane invariata: niente da fare per le sovvenzioni, al massimo possono concedere crediti da rimborsare. Qualcuno, di grazia, dovrebbe spiegare loro che è facile fare i moralisti con il debito degli altri – in una situazione drammatica come quella attuale per giunta – quando il Pil del tuo Paese è sorretto in gran parte da pratiche fiscali aggressive e concorrenza sleale. I Paesi Bassi sono in testa fra gli Stati Ue per il dumping fiscale: adottando tassazioni favorevoli mantenendo più basse della media la pressione fiscale e le aliquote sugli utili d’impresa, riescono ad attrarre le multinazionali, le aziende e i patrimoni degli altri Paesi.
Secondo l’Aggressive tax planning indicators della Commissione Ue, l’Olanda è riuscita nel 2017 ad attirare investimenti esteri diretti pari al 535% del suo Pil (l’Italia solo il 19%). Quanto vale questo giochetto? 170 miliardi di euro ovvero le entrate che ogni anno i Paesi membri non incassano a causa del dumping fiscale, tradotto per il nostro Paese sono tra i cinque e gli otto miliardi di dollari all’anno di mancate entrate. È il caso dunque che Mekel e Von der Leyen riportino Kurz e Rutte a miti consigli, anche perché i 500 miliardi messi sul tavolo da Francia e Germania già sono frutto di un compromesso (all’inizio si parlava di almeno 1000/1500) quindi la presidente della Commissione Ue, grazie all’asse franco-tedesco e alla cifra di partenza non così esosa potrebbe metterla ai falchetti nordisti nei seguenti termini: se non accettate questa proposta, l’Europa finisce in pezzi per colpa vostra. Concetto ribadito ieri dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “In Ue ci sono ancora Paesi arroccati sui loro ramoscelli, ma devono capire che l’Europa non può fare a meno dell’Italia perché se si spezza il tronco di un albero, cadono anche i rami. E non si salva nessuno. L’Italia si farà rispettare”.