Il 14 luglio 1789 il popolo di Parigi che assalta la Bastiglia diventa l’immagine simbolo della Rivoluzione francese, che decretò la fine dell’Ancien Régime. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie vengono uccisi da un attentatore serbo, il gesto fu considerato come il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Il 9 novembre 1989 a Berlino i cittadini della Ddr si arrampicarono sul Muro e lo superarono per raggiungere gli abitanti della Germania Ovest dall’altro lato. Crollava inesorabilmente il simbolo della cortina di ferro e con esso si poneva fine alla Guerra fredda Nessun sistema di potere è eterno, nessun evento ineluttabile, esistono piuttosto quelli che il filosofo Giambattista Vico definì “corsi e ricorsi storici”.
Situazioni politiche, economiche, culturali che improvvisamente precipitano e disvelano come un ciclo si stia per concludere e uno nuovo stia per sopraggiungere: ebbene, questa pandemia è il tipico “incidente della Storia”, quello che forse decreterà la fine della Ue, quantomeno nel suo assetto attuale e nei suoi rapporti di forza, basti pensare alla spaccatura che si è venuta a creare nello storico asse franco tedesco. Se persino il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, non certo un euroscettico e tantomeno un fautore dell’Italexit afferma che, a causa dell’emergenza coronavirus, “se questa crisi diventa un fattore di aumento delle differenze, rischia di tramontare il progetto europeo, non solo quello della grande Europa federale”.
Gentiloni si dice fiducioso che “una via di condivisione alla fine si possa trovare e si deve fare con il dialogo con la Germania”, sa benissimo che il blocco dei paesi del nord pro austerity da solo senza la potenza teutonica andrebbe poco lontano, ma sa anche che la parziale retromarcia della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen sugli eurobond non è un buon segnale. La loro emissione, proposta da Giuseppe Conte, “non verrà mai accettata”, afferma realisticamente il commissario Ue. “Abbiamo bisogno di un nuovo strumento di garanzia per la disoccupazione – ha detto a Radio Capital – di un piano per la disoccupazione e per il sostegno alle imprese. Questi grandi obiettivi come li finanziamo? Credo che ci siano due o tre modalità: una è quella dell’emissione di bond, ma non genericamente per mutualizzare il debito, che non verrà mai accettata”.
Anche sul Mes il commissario è scettico: “Il Mes non è la Spectre, è uno strumento che è stato condiviso. La discussione che c’è oggi è se si può usare senza condizionalità o a condizionalità più basse ma per un intervento molto limitato, fino al 2% del Pil di ciascun Paese. Alcuni, tra cui l’Italia, considerano che non valga la pena sottoporsi a condizionalità per un obiettivo così limitato, altri dicono che senza condizionalità non è possibile attingere al Mes. Non sono molto ottimista sull’esito di questa discussione, per questo sposterei la discussione su come finanziamo i nostri obiettivi”.