Il sottosegretario al Lavoro in quota Lega, Claudio Durigon (nella foto), ha ricevuto per la campagna elettorale 20mila euro. Tutto legittimo, per carità. Sarebbe stato però interessante conoscere il nome e il cognome del finanziatore. Peccato che sulla dichiarazione patrimoniale che ogni parlamentare è tenuto a pubblicare sulla sua pagina istituzionale, il nominativo sia stato oscurato. Esattamente come risulta per un altro sottosegretario leghista, Edoardo Rixi: un bell’omissis per coprire l’identità del finanziatore di 7.571,20 euro.
Senza dimenticare anche l’uomo in questi giorni al centro di vicende giudiziarie che, qualora venissero appurate, sarebbero decisamente più gravi: Armando Siri. Dalla dichiarazione patrimoniale del sottosegretario alle Infrastrutture (almeno fino a domani…) risulta che il leghista abbia beneficiato di 15mila euro elargite da terzi in campagna elettorale. Nella casella del nome, però, lo spazio è bianco.
La trasparenza, dunque, a quanto pare resta un optional, buono per gli spot e nulla più. Eppure il decreto legislativo del 14 marzo 2013, n.33 – il cosiddetto “decreto trasparenza” – prevede all’articolo 7 che “i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria” come in questo caso, “sono pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell’articolo 68 del Codice dell’amministrazione digitale, […], senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità”. Certo: c’è la questione della privacy, ma un conto è nascondere dati sensibili, come indirizzi civici o targhe di veicoli, un altro è cancellare i nominativi dei finanziatori delle campagne elettorali dei politici, soprattutto quando parliamo di cifre così importanti.
C’è da dire, però, che la Lega è in ottima compagnia, a destra come a sinistra. Prendiamo Palazzo Madama. Al di là della presidente del Senato (leggi l’articolo), la pattuglia di coloro che hanno ricevuto donazioni da terzi ma non hanno comunicato i nomi dei finanziatori è lunga. Rimanendo in casa Lega, ritroviamo Marzia Casolati che risulta aver goduto di un contributo di 25mila euro ma è impossibile sapere da chi sia arrivato. Per Paolo Ripamonti, invece, si parla di 10mila euro ricevuti “dalla società” e poi un bello spazio bianco a nascondere l’identità.
Stesso andazzo anche negli altri partiti. Ignazio La Russa, ad esempio, ha ricevuto in comodato gratuito un’unità immobiliare per la campagna elettorale, ma non si sa da chi. Il collega Adolfo Urso, invece, 25mila euro. Rimanendo sul fronte centrodestra, passiamo a Forza Italia: anche in questo caso i casi sono più di uno, a cominciare dalla capogruppo Anna Maria Bernini, che ha ricevuto 30mila da una società e 15mila euro da una persona fisica. In entrambi i casi i nomi non sono visibili. Esattamente come non sono visibili per i 10mila euro ricevuti da Maria Alessandra Gallone, per i 18.500 ricevuti da Gilberto Pichetto Fratin, i ben 40mila euro ricevuti da Francesco Alderisi (eletto nella circoscrizione Estero, peraltro). Ma non è questa la cifra più alta ricevuta: Francesco Battistoni (sempre Forza Italia) ha ricevuto da una società senza nome 50mila euro per la sua campagna elettorale. E poi, ancora, Gaetano Quagliariello (35mila euro), Renato Schifani (20mila da un signore di cui sappiamo solo che è un “comm. dott.”), Luigi Vitali (altri 20mila).
Poteva infine mancare il Pd? Certo che no. E, anche in questo caso, i nomi sono di eccellenza. A cominciare dal tesoriere Luigi Zanda, che risulta aver ricevuto 15mila euro ma non si sa da chi. Luciano D’Alfonso risulta invece aver ricevuto 42mila euro da non meglio precisate “persone giuridiche”. Stesso discorso per Matteo Richetti (10mila) e Laura Garavini (30mila). Nulla di illegale, come detto. Ma la trasparenza a volte è sinonimo di opportunità.
Tra i tanti che hanno – legittimamente – ricevuto contributi per la campagna elettorale per le politiche del 4 marzo 2018, compare anche l’attuale presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Nella sua documentazione patrimoniale, infatti, spicca una pagina di “autocertificazione di contributo”, dalla quale emerge che in data 16 febbraio 2018 la Casellati avrebbe ricevuto un bonifico pari a 20mila euro. Da chi? Impossibile conoscere il nominativo, esattamente come negli altri casi.
Sappiamo solo che trattasi di società poiché al “numero registro imprese” (senza che poi ovviamente ci sia alcun numero in chiaro). Anche in questo caso nulla di illegale, ma stupisce che la mancanza di trasparenza riguardi – suo malgrado – proprio la presidente del Senato che, ricordiamo, è la seconda carica più importante dello Stato dopo l’inquilino del Quirinale.