Giornata di manovre e “nomine” strategiche, quella di ieri, per i partiti del centrodestra. O meglio, da un parte c’è decide convintamente di star fuori dall’esecutivo Draghi, come Giorgia Meloni, che ieri ha convocato in videoconferenza la direzione nazionale del suo partito per ribadire che “la posizione di Fratelli d’Italia nella giornata di domani al Senato e giovedì alla Camera dovrà essere una posizione chiara con un voto contrario alla fiducia del governo Draghi e ribadendo la piena disponibilità a lavorare per il bene della Nazione”, aggiungendo che si tratterà di “un’opposizione patriottica” e potendo contare su un partito unito e chi come Berlusconi e Salvini, che alla compagine governativa hanno fornito vari esponenti, è alle prese con malumori interni e riposizionamenti strategici.
Partiamo dalla Lega: dopo cinque anni cambio alla guida della ‘storica’ Lega lombarda, costola su cui Umberto Bossi costruì la Lega Nord all’inizio degli anni Novanta. Al deputato di lungo corso Paolo Grimoldi, che – annuncia il partito – avrà un “ruolo di primo piano nella segreteria nazionale”, subentra il fedelissimo salviniano Fabrizio Cecchetti, legato al segretario federale da un rapporto di amicizia personale iniziata nel Movimento dei Giovani padani.
Con Giorgetti e un suo “uomo” Garavaglia, e la veneta (quota Zaia) Stefani ministri, il coordinamento regionale lombardo non poteva che essere di stretta emanazione salviniana, quasi a compensare. E a dare un segnale chiaro su chi comanda. Operazione “ricompattamento”, invece, in FI: Berlusconi prova a sedare i malumori interni affidando al numero due del partito, Antonio Tajani, rimasto fuori dai ministeri assegnati agli azzurri nel governo guidato dall’ex Bce, un ruolo di primo piano.
Almeno sulla carta: di fatto il partito resta nelle mani del suo fondatore e presidente, che già in passato si è fatto affiancare dalla figura di un coordinatore ma senza mai elevandolo veramente a “successore” plenipotenziario. è sempre mancato il “quid”. Vice di Tajani è stata nominata la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini, data in pole come ministro fino all’ultimo momento e poi rimasta fuori dalla partita.
La senatrice Licia Ronzulli, diventa invece responsabile per i “rapporti con gli alleati”, con delega a coordinare, su indicazione del Cav, le strategie comuni agli altri partiti della coalizione di centrodestra per le iniziative e per il programma. Anche perché FI torna a governare con tre ministri del fronte moderato e anti-sovranista e Ronzulli, che di fatto già esercitava una funzione di raccordo, è molto più vicina alla Lega dei suoi compagni di partito ora neo ministri.
Le nomine, dunque, appaiono come una sorta di riequilibrio, con Berlusconi che prova a ricompattare un partito sempre più diviso tra sovranisti e moderati, tra filosalviniani e centristi. Il nodo del “dopo Silvio” in ogni caso rimane soprattutto fra coloro che vorrebbero effettivamente vedere incoronato un “delfino”, in grado di smarcarsi da un centrodestra a trazione Salvini-Meloni. E in tanti si chiedono che valore politico avrà il cosiddetto direttorio a 14, il Coordinamento nazionale di presidenza, massimo organo direttivo, che vede tra i suoi componenti lo stesso Tajani, Gelmini e Brunetta.
E c’è chi come l’ex ministro, ora sindaco di Imperia, Claudio Scajola, che è stato coordinatore nella fase della cosidetta ‘traversata nel deserto’ di Forza Italia negli anni 1996-2001, suggerisce a Tajani di “ripartire dal territorio, resettare tutto e nominare nuovi dirigenti ovunque, con una selezione accurata’’.
Sarà, invece, proprio la Gelmini, neo ministro per gli Affari regionali, il capo delegazione di Forza Italia al Governo. Questa l’indicazione del Cav condivisa anche con gli altri due ministri entrati nell’esecutivo Draghi, Renato Brunetta e Mara Carfagna.