Dopo trent’anni di caccia, con la cattura di Matteo Messina Denaro si corre il rischio di pensare che la partita contro Cosa nostra sia stata ormai vinta. Del resto è caduto il grande latitante, la cui storia ha finito per alimentare il mito stesso del boss mafioso, nonché quello che viene definito come l’ultimo capomafia depositario – e anche complice – della strategia stragista degli anni ‘90.
Ma con lui, com’è facile intuire, non finisce di certo l’organizzazione criminale che, possiamo starne certi, non ha nessuna intenzione di arrendersi ma intende sicuramente riorganizzarsi. Così è chiaro che è già iniziata la ricerca del prossimo ‘capo dei capi’, ammesso che Messina Denaro lo sia mai stato. Un dubbio che non vuole sminuire il lavoro degli inquirenti anche perché ad affermarlo è stato proprio il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, che è stato il principale artefice di questo successo clamoroso.
La tesi, ribadita più volte dal magistrato, è tanto semplice quanto inequivocabile perché si riassume nella frase: “i clan palermitani non accetterebbero mai di farsi guidare da un non palermitano. A cominciare da un trapanese”. Qualunque sia la verità sul ruolo di Messina Denaro, è chiaro che ora l’attenzione di tutti è rivolta al tentativo di capire chi sia il ‘capo dei capi’.
Al momento non è chiaro chi comandi davvero ma esiste una lista di nomi su cui da tempo lavorano gli inquirenti e che potrebbero aver preso le redini dell’antica organizzazione criminale siciliana. Se tutto andasse secondo le logiche che hanno sempre governato Cosa nostra, allora ci sono pochi dubbi sul fatto che il vertice della piovra siciliana spetterebbe all’80enne Settimo Mineo.
Di professione gioielliere è da sempre uno dei boss più temuti e rispettati tanto che nel maggio del 2018, durante un summit tra i quattro maggiori boss di Palermo per decidere il nuovo vertice dell’organizzazione, era stato scelto per rivestire l’ambito ruolo di capo dei capi. Un’investitura durata ben poco perché i mafiosi non sapevano che da tempo ogni loro movimento o comunicazione, inclusa quella per preparare il summit come anche quella subito dopo in cui commentavano l’esito, veniva ascoltata dai carabinieri che infatti sono intervenuti e hanno arrestato tutti, incluso Mineo.
Caccia all’erede
Depennato il nome del vecchio boss – tutt’ora detenuto -, l’attenzione degli investigatori è da tempo puntata su altri profili. Uno di questi è quello di Giovanni Motisi detto “u pacchione” (il grassone, ndr). Un nome che può non dire molto a tanti ma che è una vecchissima conoscenza degli inquirenti.
Motisi altri non è che l’ex killer di fiducia di Totò Riina nonché il capo mandamento di Pagliarelli ma, soprattutto, è latitante dal lontano 1998 in quanto ricercato per una sterminata serie di omicidi, per strage e pure per associazione mafiosa. Il problema è che di Motisi si sono perse le tracce, esattamente come successe con Messina Denaro, e di lui non si sa più nulla, neanche se sia ancora vivo.
L’unica foto recente risale a una ventina di anni fa quando si è fatto immortalare sorridente ma in un luogo indecifrabile perché coperto da alcune lenzuola colorate. Altro nome papabile è quello dell’outsider Giuseppe Auteri detto ‘vassoio’, definito dal pentito Alessio Puccio come “un uomo d’onore del mandamento di Porta Nuova” nonché tesoriere di questo importante clan. Il 47 enne, cresciuto all’ombra del boss Tommaso Lo Presti detto ‘il lungo’ e di cui sembrava destinato a prenderne le redini dopo che è stato assassinato, è latitante ormai da un anno.
Altro nome sotto osservazione è quello di Sandro Capizzi, rampollo del boss Benedetto Capizzi, capomafia del clan di Santa Maria di Gesù, quello dello storico nemico di Totò Riina ossia Stefano Bontate, morto poi nella guerra di mafia. Ultimo papabile ma non meno importante è un uomo della “vecchia guardia”, Stefano Fidanzati. Si tratta del settantenne, membro della famiglia di narcotrafficanti dei Fidanzati dell’Arenella, che ha costruito la propria ricchezza tra Palermo e Milano e che, secondo molti picciotti, sarebbe il candidato giusto per via delle sue doti imprenditoriali.