Un passo avanti e un altro indietro, l’Antitrust prima boccia la fusione tra Banca Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, e poi precisa di non aver ancora assunto alcuna decisione sulla compatibilità dell’operazione. Allo stato, infatti, è stata solo trasmessa alle imprese interessate la comunicazione delle risultanze istruttorie, che rappresenta la valutazione preliminare degli uffici dell’Autorità sul mercato in ordine alle possibili criticità concorrenziali dell’operazione di concentrazione.
La decisione definitiva sarà assunta solo all’esito del contraddittorio con le imprese interessate. Resta dunque qualche margine per chiudere una fusione che a questo punto però diventa tutta in salita, incrociando le aspettative del board dell’istituto di Bergamo, da subito ostile all’offerta di Intesa, ma anche di altri istituti, a cominciare da Unicredit, preoccupati della nuova crescita dimensionale della banca guidata Carlo Messina (nella foto).
SI PENSA A UN PIANO B. L’Antritust, escludendo dalle sue valutazioni sull’ops la prevista cessione di sportelli a Bper, sta valutando inoltre un’operazione diversa da quella presentata da Intesa, che ha tra le sue condizioni di efficacia quella di ottenere una autorizzazione incondizionata dall’autorità. Lo scorso primo giugno, infatti, Banca Intesa ha chiesto tempo fino al 10 del mese (oggi) per specificare il ramo di azienda da vendere a Bper. Una richiesta, respinta dall’Antitrust il 3 giugno, che secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Radiocor metteva sul piatto anche una possibile revisione del perimetro oggetto di cessione, secondo criteri di massima cautela e peggiorativi per Intesa, con una conseguente modifica degli accordi con Bper, per garantire di ridurre le quote di mercato al di sotto della soglia del 35% in tutte le province italiane.
Ancora troppo poco, a detta di Unicredit, secondo cui un’eventuale integrazione tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca potrebbe “alterare le dinamiche concorrenziali dei settori bancario, finanziario e assicurativo”. Una posizione solo attenuata da Poste Italiane, la cui valutazione è che il merger tra i due istituti si limiterebbe a rafforzare, più che a modificare in maniera significativa, l’attuale posizionamento di Intesa. Due valutazioni quindi divergenti, ma che hanno convinto l’Authority a prendere tempo e di fatto a mettere in dubbio il successo della fusione.
TITOLI GIÙ IN BORSA. Inevitabile perciò la reazione del mercato, che in un giorno comunque infelice per i listini principali e per le banche e assicurazioni in modo particolare, a causa delle ultime raccomandazioni sulla limitazione nella distribuzione dei dividendi, ha visto cedere Ubi del 5,04% e Intesa del 4,62%. E dire che comunque finirà, da oggi i raporti di sostanziale tregua tra Banca Intesa e Unicredit non saranno più gli stessi. E per quanto il numero uno di Intesa possa uscire con le ossa rotte da un possibile fallimento della spedizione su Bergamo, c’è da attendersi che restituirà la pariglia a Jean Pierre Mustier, riuscita per il momento a frenare l’operazione più di quanto non era riuscito allo stesso Amministratore delegato di Ubi, Victor Massiah.
Definendo la fusione come “la possibile integrazione di due soggetti molto competitivi sul mercato italiano e nelle aree di presenza, molto spesso in sovrapposizione”, Unicredit ha previsto che le quote di mercato dell’entità post merger possano salire, anziché scendere, togliendo spazio alla concorrenza. Resta un mistero, però, come possa fare l’Italia a crescere competendo nel mondo con banche costrette a restare piccole.