Per quella che alcuni definirono “la nuova Tangentopoli d’Italia” c’è un prezzo da pagare. Lo ha fissato il 27 dicembre 2019 la Corte dei Conti e ora gli stessi giudici contabili, al termine del giudizio d’appello, lo hanno blindato. Il Consorzio Venezia Nuova, impegnato nell’esecuzione dei lavori per la realizzazione del Mose di Venezia, e l’allora numero due dello stesso Consorzio, l’imprenditore Alessandro Mazzi (nella foto), veneto d’origine e trapiantato a Roma, dovranno risarcire il Ministero delle infrastrutture. La condanna è di 6,9 milioni di euro ed è il danno stimato per le tangenti versate, tra gli altri, all’ex governatore Giancarlo Galan, all’ex assessore Renato Chisso, all’ex ministro Altero Matteoli e all’ex deputato ed ex braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese.
IL CASO. Il Mose, acronimo di Modulo sperimentale elettromeccanico, è il sistema di dighe mobili ideato per difendere Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta. Il progetto prese il via il 14 maggio 2003 e l’esecuzione dei lavori venne affidata al Consorzio Venezia Nuova, che opera per conto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il 4 giugno 2014, al culmine di un’inchiesta anticorruzione, scattarono 35 arresti e spuntarono fuori 100 indagati eccellenti. Per proseguire i lavori vennero quindi nominati tre amministratori straordinari.
I costi per quelle dighe sono cresciuti vertiginosamente nel corso degli anni, essendo stati stimati nel 1989 in 3,2 miliardi di lire ed avendo poi superato i 6 milioni di euro. E secondo gli inquirenti gli aumenti sono stati legati anche a un vasto sistema di corruzione messo a punto dal Consorzio, su cui dopo gli arresti il presidente dello stesso, Giovanni Mazzacurati, deceduto tre anni fa, riferì diversi particolari ai magistrati (leggi l’articolo), impegnati a far luce anche su ipotesi di frode fiscale e finanziamento illecito dei partiti. L’imprenditore Mazzi, numero due del Consorzio, venne ritenuto pienamente coinvolto nel sistema. Uscì in fretta dal carcere di Parma, avendo deciso di patteggiare la pena a due anni di reclusione e al pagamento di 4 milioni di euro.
Sul fronte penale l’imprenditore, ottenendo anche la sospensione condizionale della pena, chiuse così la partita che lo vedeva accusato di corruzione in concorso, finanziamento illecito dei partiti e false fatturazioni utili a creare fondi neri da dirottare alla politica. Uno dei diversi imputati che hanno scelto di patteggiare, mentre per quasi tutti gli altri alla fine è scattata la prescrizione.
LA STANGATA. Mazzacurati, Mazzi e lo stesso Consorzio sono stati indagati anche dalla Corte dei Conti, che ha battuto sul danno da tangente subito dal Ministero. Tre anni fa la condanna. La Procura contabile aveva chiesto un risarcimento di 21,7 milioni di euro, ma alla fine i giudici hanno condannato i tre a versare, in solido, 6,9 milioni. Dal calcolo delle tangenti sono state tagliate diverse somme alla luce di quanto stabilito in via definitiva sul fronte penale per le mazzette.
Il Consorzio e Mazzi hanno fatto appello. Mentre per il Consorzio è stata confermata integralmente la sentenza di primo grado, all’imprenditore è stato così concesso un po’ di sconto, blindando la condanna soltanto per le tangenti di cui i giudici ritengono vi sia prova certa che fosse a conoscenza di quelle bustarelle anche il vice di Mazzacurati. Si tratta del denaro versato a Galan, Chisso, Matteoli e Milanese. Mazzi rischia così di dover sborsare fino a un massimo di 5,3 milioni.