È un tragico bilancio che si aggiorna di continuo quello degli incidenti sul lavoro in Italia. Giorgio Cremaschi, ex numero uno della Fiom e membro del coordinamento nazionale di Potere al Popolo, perché si continua a morire sul lavoro?
“Perché c’è un sistema che si è abituato ad ammazzare i lavoratori. Tutti questi omicidi sono frutto di colpevoli mancanze di misure di sicurezza e tutti sono evitabili. C’è una diffusa criminalità imprenditoriale che uccide. C’è l’idea criminale che si può fare a meno di rispettare le norme di sicurezza che ovviamente hanno un costo. E a questo si aggiunge la complicità dello Stato. Un imprenditore oggi non rispetta le norme di sicurezza anche perché sa che nessuno lo controllerà. Sull’applicazione delle norme sono richiesti due strumenti: gli ispettori che non sono stati assunti – ne mancano almeno 10mila – e le ispezioni a sorpresa. Quelle che il ministro del governo Draghi Renato Brunetta disse che non ci sarebbero più state per non perseguitare le aziende. La verità è che il sistema si è attrezzato per far morire la gente. Conviene così. Perdere un lavoratore è un costo per un’azienda ma se tutte le aziende si mettessero a norma, per l’insieme delle imprese ci sarebbe un costo anche maggiore. E così scatta una roulette russa del rischio tra le stesse imprese. Nel futuro però il sistema pagherà tutto questo. Nell’immediato un’azienda che risparmia sulla sicurezza fa più profitti dunque brutalmente è più competitiva ma prima o poi il conto verrà presentato perché il sistema che non ha fatto adeguati investimenti sulla sicurezza sarà meno, alla lunga, competitivo. E all’origine di questo c’è anche una controriforma fatta da Matteo Renzi”.
Vale a dire?
“Renzi ha unificato le ispezioni, ha creato un regime di ispezione unica che poteva sembrare più efficace ma che di fatto ha messo gli ispettori esistenti in un limbo nel quale sostanzialmente non sono chiamati ad agire. Bisogna ricostruire il sistema delle ispezioni ma ci vuole una volontà politica. Ci vorrebbe un ministro del Lavoro che dicesse – e questo Orlando non lo ha mai fatto come nessuno dei ministri che lo hanno preceduto negli ultimi 15 anni – adesso invio i miei ispettori nelle fabbriche. Atti di questo genere avrebbero un grande effetto, darebbero l’idea di uno Stato presente.”
Il lavoro è diventato sempre più precario e sempre più povero. Come si inverte questo trend?
“Si deve cambiare radicalmente politica. Il primo ottobre in Germania è scattato il salario minimo a 12 euro l’ora. In Italia Giorgia Meloni dice che è una sciocchezza il salario minimo. Avremo un governo reazionario che lo sarà ancora di più sui contenuti sociali, un governo confindustriale di destra. Peraltro neanche il Pd aveva un programma di salario minimo. Il suo era un trucco linguistico: ce lo aveva ma non indicava quanto questo dovesse essere. Le uniche forze che si battono per questo sono Unione popolare e il M5S. I 5Stelle propongono 9 euro, anche se questa soglia è stata indicata due anni e mezzo fa e noi diciamo, con l’inflazione di oggi, almeno 10 euro. Chiaro che contro il salario minimo c’è il patronato e questo è significativo perché vuol dire che si vogliono pagare i lavoratori meno. Quando Carlo Bonomi (presidente di Confindustria, ndr) dice che il Reddito di cittadinanza, che dà 580 euro al mese in media, è competitivo con le offerte di lavoro vuol dire che gli imprenditori vogliono pagare la gente meno dell’importo del sussidio. Secondo calcoli che abbiamo fatto noi, oggi, con questo livello di inflazione, ogni stipendio inferiore a 1800 euro netti al mese è uno stipendio da fame che non permette di soddisfare tutti i bisogni. Da 30 anni a questa parte c’è un meccanismo per cui in Italia si riduce il monte dei salari e aumentano le ricchezze e i profitti. Noi siamo un Paese che si è abituato alle morti sul lavoro e a pagare niente chi lavora. E che registriamo anche i risultati peggiori in termini di produttività del lavoro. Gli industriali dicono: ‘uno dei grandi problemi del nostro Paese è la produttività del lavoro’. No, io penso che uno dei grandi problemi sia la produttività degli industriali. Avendo salari tra i più bassi in Europa, condizioni di lavoro tra le peggiori, se la produttività non cresce vuol dire che il capitale non investe a sufficienza in qualità, in sviluppo e in prodotti. Vuol dire che il capitale è improduttivo non il lavoro”.
Come si spiega questo astio nei confronti dei poveri con la guerra dichiarata da parte di tanti partiti al Reddito di cittadinanza?
“Lo trovo infame e odioso. Probabilmente è l’ultimo atto di un sistema che si è abituato allo sfruttamento, alla morte dei lavoratori, ai bassi salari. Credo che Salvini, Meloni e Renzi siano in malafede. Che sappiano che quello che dicono è falso. Hanno consapevolezza del malessere profondo del mondo del lavoro e stanno cercando di indirizzare la rabbia dei lavoratori poveri, non come dovrebbero verso le cause del loro male (la finanza, le banche, le grandi imprese, un fisco ingiusto) ma verso un altro settore di poveri. Si dice al metalmeccanico: ‘tu hai bassi salari perché i tuoi soldi sono rubati da chi prende il Reddito di cittadinanza’. È un modo per alimentare la guerra tra i poveri e mantenere tutti poveri. Se toglieranno il reddito a coloro che ritengono in grado di lavorare – ma senza dar loro il lavoro – bisogna darsi da fare perché ci siano le barricate”.
Tra inflazione alle stelle e crisi energetica, nessuno esclude più una recessione.
“C’è un rimosso che è la guerra. Mi pare assurdo e idiota che da parte delle classi dirigenti occidentali, a partire da quella italiana, si possa pensare a una ripresa economica se la guerra dovesse proseguire. Se non si esce dall’alternativa che abbiamo davanti – vale a dire guerra eterna o guerra atomica – non si può pensare che la situazione economica si rassereni. Non è mai esistita una ripresa economica in tempi di guerra. Trovo allo stesso tempo un’enorme contraddizione che non si vogliano prendere misure da economia di guerra. Come – primo – proporsi di colpire i super profitti di guerra (energia ma anche quelli delle banche, delle assicurazioni e via dicendo) e – secondo – fare debito. Non si può fare la guerra alla Russia e poi fare finita di essere in pace. Questo aggraverà la crisi particolarmente dell’Italia”.
Vede continuità tra il governo Draghi e quello che verrà a guida Giorgia Meloni?
“Continuità totale. Abbiamo avuto un governo Draghi-Meloni ora avremo un governo Meloni-Draghi”.
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