Cinquantacinque euro. Tanto valeva la rapina per cui Salvatore Rosano, 55 anni, è finito in carcere. I soldi erano stati restituiti, il danno risarcito, ma la giustizia ha continuato a presentargli il conto. Lo hanno trovato impiccato nella sua cella a Vigevano. Aveva chiesto una misura alternativa, ma gli è stata negata. Il suo è stato il nono suicidio in carcere del 2025. Ora sono già dieci. Gli ultimi tre decessi sono avvenuti lunedì e martedì scorsi a Livorno, Napoli Poggioreale e Modena, ma le cause devono ancora essere accertate. Nel 2024 erano stati 90, il dato più alto nella storia recente del sistema penitenziario. Le carceri scoppiano: 61.852 detenuti stipati in spazi per 10mila in meno, un sovraffollamento al 132%.
A San Vittore si arriva al 218%. Non sono numeri, sono vite. Continuano ad aumentare le aggressioni (668 nel 2024, cinquanta in più dell’anno precedente) e gli atti di autolesionismo (12.896, ovvero 514 in più). Cresciute anche le manifestazioni di protesta collettiva, come scioperi della fame o della sete, rifiuti di vitto o terapie, astensione dalle attività, percussioni rumorose di cancelli e inferriate. Eppure la politica risponde con un piano per 7mila nuovi posti, come se il problema fosse lo spazio e non la dignità.
Si muore di carcere in Italia. Non solo per la pena, ma per l’assenza di prospettive, per la solitudine, per l’abbandono. Un terzo delle persone detenute è in attesa di giudizio. Tra loro c’era anche Salvatore. Il carcere lo ha condannato prima della giustizia. Cinquantacinque euro, una vita. Nessuno si chiede più se sia giustizia.