Il sistema idrico nazionale fa acqua da tutte le parti. E non è un modo di dire. A lanciare l’allarme è l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue attraverso l’ultimo report dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche. Che traccia un futuro nerissimo per un Paese in grave ritardo sulle misure di contrasto alla crisi climatica.
È partita la stagione delle piogge. L’appello dell’Anbi: servono interventi normativi immediati contro il dissesto idrogeologico
Certo è che in lungo e in largo per tutta l’Italia i problemi sono svariati. “Siamo destinati a ricorrenti emergenze idriche per troppa od insufficiente acqua”, spiega il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi. La causa? La totale assenza di infrastrutture calmieratrici, come i serbatoi previsti dal Piano Laghetti ed i bacini di espansione indicati nel Piano Invasi.
Report alla mano, gli esempi che saltano agli occhi per contrapposizione sono quelli della Campania e del Veneto. Nella regione meridionale nelle province di Avellino e Salerno, dove il 23,3 per cento ed il 22,1 per cento del territorio è ad elevato rischio idrogeologico con 130mila abitanti in pericolo di allagamento ed oltre 170mila minacciati da frane. Complessivamente in Campania, oltre 1.118 chilometri quadrati, cioè l’8,2 per cento del territorio, sono ad elevato rischio idrogeologico con poco meno di 410mila persone insediate in zone altamente alluvionabili ed oltre 287mila, che vivono in aree soggette a franamenti.
Come se non bastasse a tutto ciò si aggiunge anche un’urbanizzazione spesso incontrollata che porta al moltiplicarsi del rischio idrogeologico. “Per questo ribadiamo – prosegue il Presidente di Anbi – la richiesta di porre l’approvazione della legge contro l’eccessivo consumo di suolo tra le priorità del Governo”.
C’è da dire che “di fronte all’estremizzazione degli eventi atmosferici emerge chiaramente un dato: laddove esistono bacini di accumulo idrico non solo si riduce il rischio di gravi conseguenze per il territorio, ma si migliora la condizione delle riserve d’acqua; l’esempio arriva dalla provincia dauna, dove gli invasi della Capitanata, localizzati proprio nei distretti maggiormente interessati dalla perturbazione, segnano +3,6 milioni di metri cubi nel totale dei volumi invasati, vale a dire un patrimonio d’acqua a disposizione dell’agricoltura e del territorio”, sottolinea Massimo Gargano, direttore generale di Anbi.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Così al nord, anche se la situazione idrogeologica è diametralmente opposta, non è di certo priva di problematiche. Infatti i grandi laghi sono ancora in forte deficit (ad eccezione del Lario, che ora è sopra la media storica): il Maggiore è circa 70 centimetri sotto il livello medio del periodo, così come il Sebino che, pur crescendo, resta sotto media di oltre 25 centimetri. La situazione più preoccupante è quella del lago di Garda, la “cassaforte” idrica dell’Italia centro-orientale nei mesi di siccità e che con un riempimento pari al 28,6 pere cento è largamente sotto media, puntando verso il minimo storico.
Non va di certo meglio in Toscana dove, con un ottobre fra i più secchi della storia, il deficit pluviometrico regionale medio ha raggiunto il 93,7 per cento con 112,8 millimetri in meno, combinandosi con temperature medie, che hanno superato ogni record. Salvo locali piogge ristoratrici, i livelli di falda hanno segnato il livello più basso mai raggiunto, così come il lago di Massaciuccoli (–52,2 centimetri sullo zero idrometrico, quando il livello minimo registrato nello scorso ventennio è stato di cm. -29).
Ancora in grave crisi il fiume Po, che a Torino segna una portata inferiore ai 16 metri cubi al secondo contro una media pari a circa mc/s 95. In Piemonte solo pochi fiumi registrano un incremento di portata dopo un Ottobre “boccheggiante”: tra questi, la Stura di Demonte e la Sesia, che rimangono però a -64,71 per cento e -83,46 per cento sulla media storica. Il perché è evidente: se a livello regionale, nel mese scorso è mancato all’appello il 36,1 per cento di pioggia, nei singoli bacini si sono toccate punte di -85,7 per cento per la Bormida.
In Valle d’Aosta, dove la scorsa settimana sono caduti mediamente circa 17 millimetri di pioggia, la portata della Dora Baltea è in discesa, mentre cresce quella del torrente Lys. In Lombardia scende la portata del fiume Adda ma, grazie al contributo delle piogge cadute nelle scorse settimane, il gravissimo deficit nelle riserve idriche si è ridotto dal 44,2 al 29,7 per cento.
È piovuto anche in Friuli Venezia Giulia con apporti importanti sulla provincia di Udine (oltre 85 millimetri a Cividale del Friuli, mm. 82,8 a Bicinicco, mm. 72,8 a Gemona del Friuli). In Liguria sebbene le precipitazioni dei giorni scorsi siano state superiori ai 100 millimetri solo sulla Val Trebbia non hanno influito significativamente sull’innalzamento dei corpi idrici, che continuano a versare in condizioni critiche con livelli al di sotto dei valori minimi mai registrati. Poche piogge, invece, in Emilia-Romagna, solo 24 millimetri.
Le uniche zone ad aver beneficiato di precipitazioni consistenti sono i bacini montani da Parma al Trebbia. In Umbria sono critiche le condizioni del lago Trasimeno: -1,54 quando la soglia minima è indicata a m. -1.20. Nelle Marche i fiumi tornano sui livelli minimi degli anni più recenti. Nel Lazio calano ulteriormente i livelli del lago di Nemi, così come quelli del fiume Liri, mentre crescono il Tevere e finalmente l’Aniene, le cui portate però mantengono un impressionante gap con le medie storiche.
In Basilicata, le consistenti precipitazioni non hanno giovato gli invasi regionali, che in una settimana segnano un ulteriore decremento di circa 7 milioni di metri cubi. Infine, situazione diversificata in Sardegna: se nel Sud la condizione idrica degli invasi è confortante, è altresì definita di allerta per i bacini settentrionali. Addirittura d’emergenza per il serbatoio Maccheronis, che trattengono volumi d’acqua superiori all’anno scorso, ma inferiori alla media dei recenti 12 anni.