Sono 1200 le segnalazioni raccolte dalla Fp Cgil sulle molestie nei luoghi di lavoro pubblici. Non un’eccezione, ma una norma silenziosa. Il 43,2% delle persone intervistate non sa nemmeno se esista un codice per prevenirle, il 30,4% è certo che non ci sia. E il risultato è evidente: chi subisce tace. Il 74,6% denuncia una totale assenza di consapevolezza, il 70% ritiene insufficienti i servizi di supporto. Perché se il problema non si vede, allora – per chi comanda – non esiste.
Eppure c’è un’identità precisa dietro le molestie: chi le perpetra ha quasi sempre un grado più alto. Il legame tra potere e violenza è chiaro nei numeri, con un livello di correlazione che raggiunge 8,5 su 10. È un sistema che si autoalimenta, dove il silenzio è imposto con le minacce. Denunciare significa esporsi: il timore di ripercussioni sul lavoro o sulla carriera si attesta tra il 6,7 e il 6,92 su 10. La testimonianza di chi ha provato a ribellarsi è la conferma più amara: se parli, rischi di restare sola.
Eppure qualcosa di concreto si potrebbe fare. Un congedo retribuito per le vittime di violenza è ritenuto essenziale dall’83,7% delle persone intervistate. Il 70% chiede un sistema di segnalazione anonima. Oltre l’80% vuole sportelli di assistenza psicologica nei luoghi di lavoro. Un cambiamento che dovrebbe essere ovvio, ma che resta bloccato da chi ha il potere di decidere e sceglie di non vedere. La verità è che le molestie nei luoghi di lavoro non sono episodi isolati: sono il riflesso di una cultura che protegge chi abusa e isola chi denuncia. E finché non si spezza questa logica, nulla cambierà.