Prima di tutto “la tutela della salute”. Certo, l’economia dovrà ripartire. “Ma non dobbiamo commettere l’errore di vanificare tutti i sacrifici” fatti “sull’altare della fretta”. Parola della senatrice M5S, Maria Domenica Castellone.
Il ministro Speranza dice che la battaglia contro il coronavirus è ancora lunga, ma la strada è giusta. Prorogare il lockdown al 13 aprile era inevitabile?
“Ieri l’Oms ha diffuso i dati di uno studio che stima in 38.000 i decessi evitati grazie alle misure messe in atto dal Governo. Adesso il distanziamento sociale è necessario per contenere i contagi ma bisogna da subito preparare una strategia a lungo termine per affrontare il ritorno alla normalità che sarà certamente graduale. Per noi questa strategia si basa su: potenziamento della rete di medicina territoriale per garantire presa in carico precoce e cura domiciliare; test a tappeto per mappare contagi (inclusi gli asintomatici) e gli immuni; utilizzo di strumenti di telemedicina”.
Eppure, da Italia Viva a Confindustria, si allarga il fronte di quanti invocano la riapertura del Paese per evitare il disastro economico. Una preoccupazione condivisibile non trova?
“In questo momento siamo impegnati a perseguire un obiettivo prioritario, che è la tutela della salute. Poi, certo, le attività economiche dovranno riprendere, ma non dobbiamo commettere l’errore di vanificare tutti i sacrifici e le cautele osservate sinora sull’altare della fretta. Stiamo mettendo in campo importanti misure a tutela di famiglie ed imprese per contrastare i danni economici di questa pandemia partendo da un primo decreto da 25 miliardi di euro”.
Molti dubbi e da più parti, compresi numerosi scienziati ed esperti, sono stati sollevati sui numeri della Protezione civile che non permetterebbero una stima attendibile della diffusione dell’epidemia. Non fare tamponi a tappeto né a campione è stato un errore o una scelta consapevole?
“La diffusione del virus nella popolazione è certamente sottostimata, come in tutti i paesi del mondo. Purtroppo questa epidemia ha sollevato la necessità di una regia centrale nella gestione della sanità. Ogni regione ha organizzato in modo diverso la mappatura ed il contenimento dei contagi. A mio avviso l’uso di test sierologici per mappare anche i soggetti immuni che gli asintomatici sarebbe un utile strumento di monitoraggio e controllo, insieme all’utilizzo di strumenti digitali. Ad oggi però questi test non sono ancora affidabili”.
Tra i problemi più evidenti, toccati con mano dai cittadini, c’è la carenza dei dispositivi di protezione: mascherine e spesso anche i guanti in lattice sono introvabili. Possibile che a ormai oltre un mese dall’esplosione dell’emergenza ancora non si sia trovata una soluzione?
“L’Italia ha un piano pandemico fermo al 2003, eppure nessuna Regione aveva provveduto a stoccare (immagazzinare) i DPI previsti in caso di emergenza. I 37 miliardi tolti alla sanità in 10 anni sono stati presi anche da qui ed oggi ci troviamo a pagare quegli stessi strumenti 10, 100 vote tanto”.
Poi c’è il tema degli effetti economici della crisi: reddito d’emergenza, cassa integrazione, bonus per i professionisti sono alcune delle misure allo studio (la prima) e già adottate (le altre) per fronteggiarla. Ma finita l’epidemia cosa servirà per ripartire?
“Servirà essere pronti e noi lo siamo, programmando, come dicevo, interventi a lungo termine. Con l’effetto leva delle garanzie pubbliche mobiliteremo risorse ingenti per stendere una rete di protezione complessiva. L’Italia sta facendo la sua parte, ma sarà indispensabile una risposta solidale e corale dell’Unione europea”.
Intanto resta aperta la partita Ue. Il no di Germania e Olanda agli Eurobond, rafforza le tesi e la propaganda di chi invoca l’Italexit. Di certo la vicenda impone un ripensamento del ruolo e della missione dell’Europa, non crede?
“L’Europa deve cambiare passo. E’ una cosa che chiediamo da tempo e questa esigenza è esplosa adesso in tutta la sua drammaticità. L’Unione europea è l’unione di tutti i paesi, non solo di alcuni. Su questo sia il nostro capo politico Vito Crimi sia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sono stati molto chiari. I ‘no’ devono diventare ‘sì’. Si parla di eurobond dal 1994. Oggi abbiamo tutti i dati ed i mezzi per attivare velocemente strumenti di debito comune europeo al fine di reperire risorse da destinare alle emergenze. Se avremo visione, potremo utilizzare questa crisi come occasione di crescita e di cambiamento”.