Dario Franceschini, bisogna riconoscerlo, ci ha provato. Impegnato nell’incontro nazionale di AreaDem a Cortona (Arezzo) ha confezionato un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali: “Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5s dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione, perché un appoggio esterno è una rottura, per noi porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residua possibilità di andare al proporzionale”.
Da Franceschini un altolà perfetto per guadagnare i titoli dei giornali
Esultanza prevedibile da parte degli innumerevoli partiti di centro, che vorrebbero creare “il grande centro” e che invece sono attaccato alla sottana del Partito democratico: per loro una rottura tra Pd e M5S significherebbe trovare un’insperata tavola imbandita che li farebbe apparire progressisti mentre strenuamente continuano a servire le élite. Sarebbe un sogno.
Poiché la sparata di Franceschini è sopravvissuta al tempo breve delle agenzie di stampa ed è riuscita a diventare un dibattito di corsa è arrivato il deputato dem e membro della segreteria nazionale Enrico Borghi che all’Adnkronos per dire che “le posizioni di Franceschini sono largamente diffuse all’interno del partito e chiaramente, essendo lui tra gli esponenti che maggiormente hanno lavorato per un accordo con i 5 Stelle, credo assumano anche un peso specifico notevole”.
La posizione di Borghi del resto è sempre la solita tiritera di “un’alleanza molto larga” – dice Borghi – “fatta sui contenuti e non sugli aspetti ideologici”. Per uscire dal politichese significa che la frase di Franceschini potrebbe tornare utile a chi davvero vede pensabile un’alleanza che tenga dentro Conte, la sinistra di Fratoianni, il Pd, Bersani con i suoi, Renzi e Calenda.
Posto che sarebbe impossibile qualsiasi convergenza ideologica (e l’ideologia fa tutt’altro che schifo, benché la pronuncino sputando, poiché è la linea per misurare la coerenza) risulta difficile immaginare anche quali sarebbero i “contenuti” che potrebbero tenere insieme i partiti che stanno dalla parte degli imprenditori che vorrebbero pagare ancora meno i lavoratori e quelli che contestano i salari da fame. Solo per dirne una. Ma l’uscita di Franceschini, al netto dell’apparenza del voler salvare il governo, è un’uscita che ha poco senso.
Da una parte non fa altro che pungolare per procura il Movimento Cinque Stelle in una concitata discussione interna, tra l’altro a pochi giorni dall’abbandono di Luigi Di Maio e la sua banda (a proposito, anche loro nel “fronte progressista”?), apparendo in tutto e per tutto un assist a chi il M5S lo martella come ragione di vita (Carlo Calenda e Matteo Renzi in primis) e dall’altra parte estrae l’argomento della “lealtà” proprio a poche ore dal voto sulla stretta del Reddito di cittadinanza che il Pd ha votato insieme a Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e il gruppo Misto.
C’è poi un aspetto tutto elettorale: il Partito democratico senza il Movimento Cinque Stelle, con questa legge elettorale, non ha nessuna possibilità di poter provare a battere le destre almeno che i democratici non ritengano possibili le percentuali percepite di Renzi e compagnia (smentite da ogni sondaggio elettorale) o peggio ancora almeno che con un pezzo di destra stiano pensando di allearsi.
Il colpo di Franceschini è a salve: voler costruire un “fronte ampio” lasciando fuori il Movimento Cinque Stelle è tutt’altra cosa rispetto a ciò che Letta ripete da mesi. Un ultimo appunto: dice Franceschini che non bisogna bruciare “ogni residua possibilità di andare al proporzionale”. In quel caso ognuno andrebbe per conto suo.