di Andrea Koveos
Sicurezza pubblica a pagamento. Con il monopolio del Ministero della difesa. Gli armatori italiani per proteggere il loro carico dai pirati, si possono avvalere del supporto della Marina militare (o di altre forze armate) pagando però “tutti gli aspetti connessi all’attività”. Lo dice la legge (decreto legge n.107 convertito con la legge n.130 del 2 agosto 2011). Il costo che il proprietario del mercantile è costretto a sostenere è sostanzioso. Tremila euro al giorno per una pattuglia composta da sei marò per l’intera durata del viaggio, che può richiedere da un minimo di 10 giorni a un massimo di 18 giorni. Se vuoi essere protetto dalle incursioni dei pirati, la sicurezza te la devi pagare. Per tutti gli aspetti economici s’intende modalità di retribuzione del personale militare, vitto e alloggio, spese per la stipula di convenzioni e molto altro, partendo dalla premessa imprescindibile che qualsiasi spesa è a totale carico del privato. Non solo: per una nave italiana, battente bandiera italiana, non c’è alternativa alla Marina Militare. Altri tipi di sicurezza privata, previsti in altri paesi europei, da noi non sono contemplati. In questo senso e in vista di eventuali modiche normative, il Ministero della Difesa possiede il monopolio della sicurezza sui mercantili. Un paradosso perfettamente legale: come se per usufruire degli agenti di sicurezza all’interno degli stadi di calcio, il presidente della squadra fosse costretto a pagare i compensi agli agenti delle forze dell’ordine. La legge è precisa e prevede anche le modalità di pagamento, che devono essere effettuate mediante versamenti, entro sessanta giorni, “ai pertinenti capitoli dello stato di previsione della spesa” del Ministero.
Tutti contenti di pagare per una protezione garantita da forze pubbliche? Apparentemente sì. Gli imprenditori, fanno sapere dalla Confederazione italiana armatori, chiedono in maniera volontaria di poter usufruire del servizio che i Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina garantiscono.
E la cosa funziona se è vero che incidenti come quelli avvenuti sulla Enrica Lexie rappresentano un caso più unico che raro. Eppure quell’unico episodio, che non ha fatto fare bella figura al Governo italiano rischia di costare all’armatore un’enormità. Basta leggere la Convenzione tra Ministero della Difesa e Armatori (precisamente capitolo 2.2 lettera “d” riguardante gli obblighi per il privato che s’ impegna a “rinunciare ad ogni azione di rivalsa per responsabilità contrattuali in cui dovesse incorrere l’Armatore in ragione delle deviazioni dalla rotta commerciale effettuate per consentire l’imbarco e/o lo sbarco del NMP, nonché delle esigenze di custodia e sbarco delle persone eventualmente arrestate o fermate) per intuire che tutti gli imprevisti commerciali, compresi i danni economici, causati dall’arresto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, potrebbero essere a addebitati all’armatore. Una cosa è certa: la grande maggioranza dei marò, impiegati per questo tipo di servizio, non fa salti di gioia. Chi ha scelto di entrare nelle forze armate per difendere la propria Patria o per garantire la pace nei paesi a rischio democrazia, si ritrova a sorvegliare un carico, seppur prezioso, di un privato cittadino.
Passi pure: gli ordini non si discutono, ma che almeno siano seguiti da una tutela degna di questo nome. Tutela che, viste le dimissioni del nostro ministro degli esteri, in palese contrasto con il suo ex collega della Difesa, deve aver incontrato più di una difficoltà, per usare un eufemismo.
In tutto questo vortice di convenzioni, leggi, provvedimenti che regolano la sicurezza a bordo dei mercantili, ci si dimentica dei marittimi che si trovano coinvolti in situazioni difficili, a rischio della propria vita e del proprio posto di lavoro. E facilmente intuibile che anche i lavoratori della Enrica Lexie abbiano incontrato qualche difficoltà. Forse poco evidenziata.