L’idea non è nuova, ma questa volta porta con sé il peso di un’ambizione spietata: Donald Trump annuncia il programma di rimpatri forzati più grande della storia americana. “Forced Deportation Program”: un nome che suona come un proclama da tempi bui, un’operazione che promette di deportare milioni di persone migranti irregolari, con costi stimati fino a 960 miliardi di dollari. Non è solo una questione di numeri, è una dichiarazione politica: deportare vite per un ritorno all’America che Trump sogna.
Un piano senza precedenti: costi, numeri e macabra logistica
A guidare la macchina di espulsione c’è Thomas Homan, ex capo dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE, il servizio federale responsabile della gestione dei flussi migratori e del controllo delle frontiere interne). Homan è già noto per le politiche aggressive contro l’immigrazione durante il primo mandato di Trump. “Il nostro piano è semplice: cacciare via chi non appartiene a questo Paese”, ha dichiarato Homan in un’intervista a Fox News. È la visione di un’America che non si limita a erigere muri, ma che usa il sistema federale come un’arma per cancellare presenze indesiderate.
Il piano è talmente massiccio che richiederebbe una rete logistica senza precedenti: nuove strutture di detenzione, personale triplicato per l’ICE e una campagna di identificazione che ricorda tristemente altri momenti storici. Gli attivisti per i diritti civili, come l’Unione Americana per le Libertà Civili (ACLU), hanno già definito il programma una “pulizia etnica legalizzata”.
I numeri dipingono il ritratto di una follia economica. Un rapporto del Center for American Progress calcola che deportare dieci milioni di persone costerebbe oltre 900 miliardi di dollari in un decennio, senza contare il crollo dei settori economici più dipendenti dalla manodopera migrante. Agricoltura, edilizia e turismo rischiano un tracollo immediato: il 73% dei lavoratori agricoli negli Stati Uniti sono nati all’estero, secondo i dati del Dipartimento dell’Agricoltura. Cosa succederà quando i campi rimarranno vuoti e i raccolti marciranno?
Famiglie spezzate e un prezzo morale incalcolabile
E poi c’è l’ombra delle famiglie spezzate. Durante il primo mandato di Trump, la separazione forzata di genitori e figli ai confini degli Stati Uniti ha sconvolto il mondo: 5.500 bambini, secondo l’ACLU, furono strappati ai loro genitori tra il 2017 e il 2018. Molti di loro non hanno ancora ritrovato le proprie famiglie. Ora, l’idea di replicare questa strategia su scala ancora più ampia evoca un’immagine agghiacciante di file di bambini soli, rinchiusi in strutture governative, mentre i genitori vengono espulsi.
Ma l’aspetto più inquietante non sono i numeri o i costi. È il silenzio complice che accompagna questo piano. Trump promette deportazioni e milioni applaudono. Non si interrogano sulle conseguenze morali, sull’immagine di un paese che si trasforma in un carcere per chi ha cercato rifugio. Un’America in cui l’ICE pattuglia le città, entra nelle case, preleva persone in piena notte.
Chi è il prossimo? La domanda è sempre la stessa, ma le risposte continuano a tacere. La retorica dell’espulsione si alimenta del timore, del sospetto, di quella paura insita nella società americana, dove il confine tra “noi” e “loro” è sempre più sfocato.
Trump non sta solo deportando persone migranti. Sta rimandando indietro il tempo, verso un’America dove il sogno era riservato ai pochi e dove la legge era un martello per i più deboli. Non è il piano di un leader; è la sceneggiatura di un impero che implode. E il costo vero, quello che nessuna stima economica può calcolare, sarà pagato da chi guarda tutto questo e non fa nulla per fermarlo.