Non deve essere facile occuparsi della comunicazione di Giorgia Meloni. Non è un caso che l’ultimo suo portavoce, Mario Sechi, se ne sia andato a gambe levate dopo qualche mese. Ieri la presidente del Consiglio ha dovuto ricordare l’incendio nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, del 1956, che provocò la morte di 262 minatori di cui 136 gli italiani. “Avevano deciso, con sofferenza e dolore, di abbandonare la Patria per emigrare in Belgio.
Il premier Meloni celebra i minatori morti a Marcinelle. Per lei l’immigrazione è buona soltanto in uscita
Lavorarono duro, con umiltà e dedizione, senza garanzie, in condizioni terribili e ora inimmaginabili. Persero la vita nel buio della miniera, ma la loro luce non si è spenta e risplende nel ricordo e nella riconoscenza tributati loro dalla comunità nazionale”, scrive Meloni nel suo dolente comunicato, spiegando che “Marcinelle è diventata un simbolo, un tassello di quel grande mosaico che è la storia dell’emigrazione italiana, un susseguirsi di enormi sacrifici ma anche di straordinari successi e obiettivi raggiunti. Oggi rendiamo omaggio anche a tutto questo e riscopriamo il legame che ci lega agli italiani all’estero, ambasciatori d’Italia nel mondo col Tricolore nel cuore”.
Ma come? Ma non era Meloni la paladina dei patri confini? Come funziona? Valgono solo in uscita? Il sottotesto è fin troppo semplice: “Noi sì che eravamo bravi immigrati, non quelli che ci ritroviamo nelle nostre strade”. La realtà però, purtroppo per lei, è molto simile. Come avveniva per gli italiani negli anni ‘50, impiegati nei lavori più umili e pericolosi anche oggi qui in Italia i dati dell’ultimo rapporto della Fondazione Moressa dicono che in Italia tra gli italiani, il 37,5% svolge attività qualificate e tecniche, contro il 7,8% degli stranieri.
Al contrario, i lavoratori non qualificati sono l’8,5% tra gli italiani e il 31,7% tra gli stranieri. Nonostante la concentrazione in fasce medio-basse, i lavoratori immigrati producono 144 miliardi di Valore Aggiunto, dando un contributo al Pil pari al 9%. L’incidenza sul Pil aumenta sensibilmente in Agricoltura (17,9%), Ristorazione (16,9%) ed Edilizia (16,3%). Nel rapporto si legge anche che “continua l’aumento degli imprenditori immigrati, pari al 10% del totale.
I nostri connazionali espatriati costretti a fare i lavori più umili e pericolosi. Al pari di chi oggi arriva nel nostro Paese
In dieci anni (2011-21), gli immigrati sono cresciuti (+31,6%) mentre gli italiani sono diminuiti (-8,6%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione”. Non solo: il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 28,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 26,8 miliardi) rimane attivo per +1,4 miliardi di euro. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni.
Spenti certi canali televisivi e chiusi alcuni giornali la realtà del lavoro degli stranieri in Italia è molto diversa dalla narrazione imperante dalle parti del governo. A proposito di realtà che irrompe. Ieri il ministro Tajani, proprio nel giorno della commemorazione di Marcinelle, ne ha approfittato per augurarsi che il Mar Mediterraneo non si trasformi “in una sorta di grande cimitero”. “Queste persone che fuggono molto spesso non vogliono venire in Italia, ma vogliono andare in altri Paesi”, ha detto il ministro durante un’intervista radiofonica.
È lo stesso concetto (inascoltato) che ripetono da anni le Ong, cercando di arginare la falsa retorica dell’invasione. Insomma, basta una giornata in cui si è costretti a ricordare cosa siamo stati per smutandare l propaganda. C’è solo un errore da matita rossa: il Mediterraneo è già un cimitero. Secondo l’Oim, nei primi sei mesi del 2023 sono morti o dispersi circa 1.300 migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo: è il dato più alto dal 2017 ed è una sottostima del numero reale.