Professore Marco Revelli, politologo e ordinario all’Università del Piemonte Orientale, che titolo darebbe ai risultati di questa tornata elettorale?
“Che vince l’astensione, almeno nelle grandi città. Che praticamente il 50 per cento del corpo elettorale non sia andato a votare rappresenta un dato clamoroso che ci dice quanto profonda sia la crisi della politica”.
E per questo 50% che invece è andato a votare, cosa ci dice?
“Che ha dato una forte sberla alla destra che si aspettava molto almeno fino a qualche mese fa ed invece è stata frustrata nelle sue speranze. La Lega si è inabissata. Il centrosinistra, in particolare il Pd, può dirsi vincitore anche se trionfa in un corpo elettorale in retromarcia. La cosa molto interessante nelle grandi città è che quella parte molto ampia dell’elettorato M5S delusa non si è riversata in massa nei due partiti di destra, populisti. E nemmeno in maniera numericamente consistente verso il centrosinistra. è andata nell’astensione. Si pensava ci fosse un rapporto automatico di vasi comunicanti all’interno di forze politiche dell’area populista e questo non è vero. Né Salvini né Meloni hanno fascino sufficiente per attirare quegli elettori che avevano votato 5Stelle pensando a un cambiamento profondo e radicale e sono rimasti delusi”.
Quale il prezzo che politicamente paga il M5S?
“Il Movimento non ha un radicamento territoriale. Anche quando ha fatto numeri incredibili alle politiche poi nelle elezioni successive – regionali e amministrative – ha fatto un passo indietro. Nel 2016 ha fatto il botto a Roma e Torino e tuttavia non ha mantenuto le promesse. Quel successo è evaporato”.
E cosa sconta il centredestra?
“Sconta la propria miseria di personale politico. Non ha personale presentabile. Vive di leader che hanno molta visibilità mediatica, come Meloni e Salvini, e poi però, a parte nel Nord la Lega che ha accumulato esperienze ventennali di amministrazione, ha una delle classi politiche peggiori. I suoi candidati erano di un basso livello. E questo l’ha pagato ovunque, anche a Roma. Enrico Michetti nella capitale non ha fatto il boom che la Meloni si aspettava”.
Dunque è il Pd il vero vincitore di queste elezioni?
“I dirigenti del Pd possono festeggiare lo scampato pericolo e il successo di Enrico Letta nelle suppletive di Siena è importante. Ma non credo che il partito abbia superato la sua crisi che a sua volta è una crisi di classe dirigente e politica. Non perché gli manchino professionisti della politica ma perché sono molto divisi al loro interno. Sono ancora attraversati dalla linea di faglia aperta dal renzismo. E quelli che si sono specializzati in ruoli amministrativi non sanno scaldare il cuore della gente. Vengono apprezzati per competenza tecnica ma non sollevano grandi entusiasmi e rimane un partito del 20%. Insomma, si tratta di un vincitore relativo che ha un successo in un corpo elettorale che ha innestato la retromarcia”.
A Napoli e Bologna ha stravinto al primo turno il candidato sostenuto dal centrosinistra e dal M5S. Tra Pd e M5S l’alleanza è strategica?
“Sicuramente necessaria, quanto sia strategica dipenderà dai contenuti che sapranno elaborare. Due dei tre successi secchi avvengono dove è stato costruito questo asse che elettoralmente ha funzionato. A dispetto dei gufi”.
Quali prospettive secondo lei ha il M5S per rilanciarsi?
“Stringersi intorno a Giuseppe Conte che ha capacità politica e anche di tessitura consistente. Il candidato a Napoli è stata una sua sua intuizione. Deve smettere di litigare al suo interno e recuperare temi di battaglia delle origini che sembrano essersi persi in una pratica democristiana”.
Quale peccato scontano invece Salvini e Meloni?
“Pesa su di loro il giudizio feroce di Silvio Berlusconi che è stato a lungo il federatore dell’area di centrodestra e che ha quando ha detto ‘tanto Meloni quanto Salvini si tolgano dalla testa di fare i premier’, ha detto una cosa vera e terribile per loro. Nonostante i suoi acciacchi, Berlusconi continua a interpretare un pezzo dell’anima di destra di questo paese e lo dimostrano le elezioni in Calabria con Forza Italia che ha trainato lo schieramento alla vittoria. La verità è che la Calabria è terra di angeli e demoni che produce i Mimmo Lucano e i caporioni della ‘ndrangheta. E in quella regione alle elezioni non vincono i buoni, solitamente”.